“Ho aspettato tanto. Ho scelto di donarmi soltanto da sposata. La religione cattolica e gli insegnanti genitoriali mi hanno impedito di osare, di trasgredire, di amare in libertà. Adesso che sono con la fede al dito non è cambiato nulla. Sono rimasta vergine. Una donna vergine adulta”.
Questo è lo spezzone di una consulenza sessuologica che una donna giovane e infelice ha deciso di regalarsi. Dopo anni di buio, di ansia e di paura, ha finalmente compreso che il suo evitamento ha un nome: si chiama vaginismo.
Quello che pensava essere un voto di castità voluto, un dono, in realtà, è un danno subito e anche donato al partner amato.
Per una donna che ha difeso a spada tratta la propria verginità come se fosse un regalo da consegnare alla persona amata e a sé stessa, comprendere che la difesa era figlia della paura non è un passaggio semplice e indolore.
Equivale al rimescolare le carte del suo inconscio con il rischio di far vacillare le sue certezze.
La paziente vaginismica tende a scappare, alla prima difficoltà o intoppo si rinchiude nel suo silenzio; il coniuge, solitamente, rappresenta l’altra metà del cielo: complice e colludente. Anche lui colpevole, suo malgrado, di un assordante immobilismo sessuale. Afflitti, entrambi, di massicce dosi di inedia e ignavia a cui hanno consegnato lo scettro della loro vita sotto le lenzuola.
Le prime fasi della terapia sono sempre un tiro alla fune tra premesse e promesse, tra volontà e paura, il dopo diventa invece un cammino pianeggiante e verdeggiante dal quale si raccolgono sempre tanti frutti (un erede incluso).
Il sesso senza amore, purtroppo, rimane possibile, ma un amore senza sesso assolutamente no.
Dovrà fare i conti con la deprivazione di corpo e di sensi che, prima o poi, diventerà anche di cuore.
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