Avviene tutto all’improvviso e senza preavviso. Senza criterio e senza motivo. Ti strappa via alle tue certezze. Ai tuoi affetti, ai tuoi sogni, ai tuoi animali. Al tuo presente e al tuo futuro.
Ti erode e corrode, come carne al macero. Non ha rispetto, non ha pietà, non si ferma mai.
Va via e poi ritorna.
Ti illude e ti delude.
Ti fa diventare un leone o una leonessa, ti insegna a lottare anche da ferito, a spostare i limiti della sofferenza, a non fermarti mai.
A dare speranza a chi speranza non ha. A proteggere i tuoi cari da te stesso.
A crederci ancora, nonostante tutto.
Anche in punto di morte, quando la morte diventa la strada per lenire le sofferenze del cuore e del corpo.
Ospite indesiderato che si insinua dappertutto. Il cancro.
Confonde e fonde bisogni e cure, malattia e malato, malato e malattia. Strazia, morde, divora: paziente e persone a lui care. Consegna alla desolazione, al gelo.
Spazza via dignità e speranza. Coscienza e futuro.
E poi c’è la cura: la chemioterapia.
La cura è peggiore della malattia, dispensa disperazione e dipendenza. Sofferenza e devastazione.
Talvolta, ti insegna la vita.
Le parole diventano verbose o si trasformano in parole mute: i silenzi.
Il pianto diventa un nubifragio.
La rabbia un uragano.
La tristezza un mare in tempesta.
I freni inibitori un lontano ricordo.
Quando un glioblastoma si trasforma in un clandestino a bordo, spazza via ogni speranza.
Mio padre lo aveva ai lobi frontali, sede del controllo, delle buone maniere, del si pensa ma non si dice, del si dice ma non si fa.
Era diventato altro da sé, diceva quello che forse non aveva mai avuto il coraggio di dire.
Soffriva, sperava, smetteva di farlo, e ricominciava, e noi con lui e per lui.
Parlava, ascoltava, dispensava pensieri e acute riflessioni, anche da ammalato.
In fondo al suo cuore era ancora e sempre un grande uomo: il mio adorabile papà.
Cara Nadia, eri toppo giovane per andare via. Sei stata una guerriera sorridente: hai scritto un libro che ti sopravviverà e hai regalato sorrisi e speranza, senza pietismi o vittimismi.
“Fiorire d’inverno”, forse è possibile, anche se il corpo rimane, il cuore germoglia altrove.
Un affettuoso, ultimo saluto.
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