Ieri pomeriggio, come per incanto (o per colpa di un incantesimo), dalle diciassette e trenta in poi siamo precipitati nell’assenza di connessione. Orfani dell’immediatezza della rete, siamo sprofondati in quella sensazione di sgradevole solitudine lenita falsamente dall’inganno del web.
Instagram con le sue storie, Facebook con le sue notifiche e Whatsapp erano in panne e del tutto assenti dalle nostre vite: ci avevano abbandonati. E noi abbiamo dovuto abbandonare loro e ci siamo dovuti incontrare con noi stessi, con il silenzio, con la mancanza di compulsione e di post, con la vita vera e non con quella postata.
Nessun suono delle notifiche ci strattonava qua e là, immediatamente e magicamente, siamo sprofondati nel silenzio, in compagnia delle persone vere e di noi stessi.
La nostra “agenzia di stampa dell’Io” era momentaneamente fuori servizio, consegnandoci all’Io (quello vero).
A fine serata ho fatto un bilancio amatoriale di quello che mi è mancato di più e quello di cui ho fatto volentieri a meno, senza confonderli e fonderli. Ho riflettuto sui miei reali bisogni e sui falsi bisogni, talvolta confusi per veri. Mi sono anche ritrovata con del tempo libero inedito e inaspettato, una sorta di dono che mi aveva fatto recapitare l’assenza improvvisa di connessione.
In serata ho ripristinato la buona, cara, vecchia email, lunga e accogliente, con i suoi tempi più dilatati e meno lapidari, senza l’ansiogena spunta blu e i messaggi incalzanti e frammentati di Whatsapp – foto e audio inclusi – e mi sono sentita più serena.
In realtà, a parte per gli affetti improntanti, l’idea di non poter essere raggiunta e di non dover giustificare la mia non immediata risposta alla doppia spunta di Whatsapp mi aveva sollevata da un obbligo.
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1 Commento. Nuovo commento
Pienamente d’accordo con lei, è stato un momento di sospensione salutare e appagante.