Le vostre storie, le mie parole.
Tu sei quello che non c’è. E se c’era criticava, manipolava con eleganza, si metteva di traverso facendomi sentire sbagliata. Tu sei quello che forse non c’è mai stato, mentre mi illudevo ci fosse. Tu sei ricordo. Assenza. Diniego. Rammarico. Rimpianto.
Tu sei colui che vola basso mentre io ho fame di brividi e di labbra.
Tu sei ngazione delle mie necessità e desideri. Sei zavorra per la mia voglia di volare e di restare. Sei il motivo che non mi hai dato per rimanere. Sei il silenzio delle serate davanti il televisore. Sei il pasto frugale ingurgitato senza rispetto e gratitudine, mentre il tuo cellulare suona e tu rispondi.
Sei il ritardo della sera, quando siamo già tutti in casa e tu sei altrove. Sei il telefono sempre occupato quando io chiamo per un motivo grave, futile, senza motivo. Tu sei le parole mancate, e quelle vuote sprovviste di gesti concreti.
Ho fatto tutto e anche più di tutto per crederci ancora e ancora: per me, per te, per noi, per questa famiglia.
Volevo essere più forte di ogni tua voragine. Più forte di ogni tuo trauma infantile. Più forte di ogni tuo menefreghismo e mancanza di cure. Più forte di quello che non hai imparato dalla tua di famiglia mentre facevamo la nostra. Ma non ci sono riuscita. Volevo stabilità e amore, desiderio e piedi per terra.
Volevo sogni e unicità.
Volevo sentirmi vestita di seta e nuda davanti ai tuoi occhi, ma tra la seta e la nudità non c’è mai stata così tanta differenza.
Non posso, non devo e non voglio accontentarmi se tutto quello che puoi darmi è un amore a metà.
Perché se decidessi di farlo, di perpetuare questa quasi vita o non vita ti do, e mi do, la sensazione che puoi, possiamo, continuare ad andare avanti così: in bianco e nero.
Se sto zitta, do spazio al tuo silenzio, e stare zitta è quello che mi riesce peggio. Se non urlo di dolore, mi ammalo, ed è quello che mi riesce meglio.
Se consento a te di guardarmi con quello sguardo distratto e inquisitore, consento a me di specchiarmi nei tuoi occhi. Se mi consegno a te, mi consegno all’invisibilità del cuore. E io voglio essere visibile, vista, guardata, desiderata, amata. Io voglio essere viva.
Alla fine ho scelto me, e mi sono salvata.
Un’ipotetica “lettera di congedo” scritta da una mia paziente, adesso impaziente e divorziata.
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Ogni storia sembra diversa e ogni storia è uguale.
Queste parole le ho scritte anche io più di dieci anni fa.
Ora sono io, sono ancora io e sarò sempre io.
La mia forza è stata la coerenza.
Avevo bisogno di restare sempre quella che sono e non permettere a nessuno di distruggermi, nemmeno a chi, con il suo abbandono, si è portato via oltre all’unità di una famiglia, anche il lavoro che avrei pensato sarebbe stato la mia vita.