Cosa ti manca di più quando finisce un amore? Lui? lei? i suoi baci e abbracci? le sue parole? l’intimità che avete costruito nel tempo? la sessualità straripante di desiderio? la vostra casa con gli oggetti acquistati qua e là per il mondo? le vostre rassicuranti abitudini? il rincasare e trovarlo lì, in casa, come sempre pensando che sia per sempre.
Niente di tutto ciò.
Quando finisce un amore ti manchi solo tu.
Quella te e quelle parti di te – perché non sei soltanto quelle parti, ma hai anche quelle parti – nate grazie a quell’amore, a quel legame, a quell’uomo o donna.
Ti manca il sentirti guardata e amata in quel modo, con quegli occhi. Ti manca specchiarti nel suo sguardo. Ti manca avere un ritorno della tua immagine solita e ti spaventa quella inedita.
Ti manchi solo tu.
In psicoanalisi questa mancanza si chiama lutto dell’immaginario. Quel lutto per qualcosa che non ci sarà più. La mancanza di quel qual cosa di indefinito che non trasporta più in quella situazione altrettanto indefinita ma futuribile. La mancanza della progettualità, dell’abitare l’altrove. La mancanza di quella relazione e di te stessa nella relazione. Dopo l’abbandono o la fine di un amore manca la possibilità di vivere il futuro, il domani, il dopo, con il rischio di dover vivere uno scomodissimo (ma inebriante) adesso.
Nelle faccende di cuore rinnegare o negare i battiti del passato è un atteggiamento miope. Anche gli aguzzini amorosi sono generatori di battiti e parti psichiche nuove che non si estinguono con la fine di quell’amore o presunto tale.
Rimane sempre un battito oltre la fine. Una parte nuova dopo l’addio. Un’emozione residua che si fa crescita, intraprendenza o prudenza.
Un amore, anche se tossico, non va mai buttato alle ortiche; bisogna dargli la giusta sepoltura, portargli un fiore di tanto in tanto come si fa con le persone care, e farlo riposare in pace. Con lui non moriamo anche noi. Noi rimaniamo vivi e vegeti, pulsanti e coraggiosi. Pronti per tanti nuovi meravigliosi adesso.
Perché a chi ha amato tanto e male, e ha un cuore rammendato, è destinata una vita amorosa decisamente più luminosa.
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2 Commenti. Nuovo commento
Leggendo tanti dei suoi articoli sull’amore tossico, sul carnefice narcisista e la vittima affamata d’amore, mi chiedo se il “lui” della situazione iniziasse un percorso psicologico perché si rende conto che il suo comportamento non va bene e pur di non perdere la persona con la quale sta, decida di intraprendere un percorso, quante probabilità di successo può avere la terapia?
È utile una terapia di coppia?
È meglio interrompere la relazione, nonostante il percorso di terapia individuale, perché non avrà mai un lieto fine?
È utile che anche lei faccia delle sedute?
È utile un confronto di coppia con la terapista?
La donna “vittima” che si riconosce nelle dinamiche descritte, perché subisce determinate situazioni, è sempre perché è “affamata d’amore” e non ama abbastanza se stessa o potrebbe essere semplicemente perché consapevole del fatto che tutti abbiamo delle debolezze e che la persona ” perfetta ” non esiste e cerca di far esaltare i lati positivi dell’altro?..
Anche questo atteggiamento di speranza e NON rassegnazione, sono sintomi di debolezza dovuta da traumi?
È sbagliato sperare che cambino le cose e riprovarci, sapendo che si sta attuando un percorso?
Grazie.
Gentile Sonia,
a tutti i suoi tanti quesiti non posso rispondere.
Non conosco lei, non conosco lui, non conosco le dinamiche di coppia, e non tutte le persone che hanno un disturbo narcisistico di personalità (che tra l’altro va diagnosticato da un clinico non in maniera amatoriale) sono uguali.
Alcune hanno delle parti sane, altre no.
Tutte queste domande dovrebbe porle in sede di consultazione, con uno specialista di fronte a lei che sappia ascoltarla e indirizzarla.
Un caro saluto