Non tutte le persone si astengono dal giudizio e nemmeno dal contare con il pallottoliere i successi, più degli insuccessi, della vita altrui.
Esiste una malattia invisibile e terrificante, più pandemica del Covid, che si chiama sindrome di Procuste: la malattia degli invidiosi.
Coloro che odiano chi ha successo nella vita.
Questi malati gravi cercano di sminuire i successi degli altri. Li osservano con acredine come se al malcapitato il successo gli fosse piovuto dal cielo senza fatica e senza impegno. (E se anche fosse, che male ci sarebbe?) Si potrebbe solo gioire del loro percorso pianeggiante.
Il fortunato, nell’immaginario dell’invidioso, è stato baciato dalla dea bendata e non merita di brillare così tanto.
Inoltre rappresenta una minaccia per la sua incolumità, che io chiamerei invece fragilità.
Gli invidiosi sono persone infime e manipolatrici, si trincerano dietro una finta gentilezza, adoperano un lessico intriso di parole abusate che stridono con il loro sentire più profondo. Nel tempo, parola dopo parola sprovvista di azione ed emozione, gli invidiosi vengono sbugiardati.
La sindrome di Procuste non infligge tutti ma complisce soprattutto i fragili, i frustrati, gli invidiosi, le persone insicure, afflitte da bassa autostima.
Un antidoto al veleno degli invidiosi esiste ed è adoperabile: identificarli nel più breve tempo possibile, ignorarli e cambiare strada o città.
Gli invidiosi rimarranno da soli, in balia delle loro maree umorali e disfunzionali, pronti per una nuova preda o vittima.
Del resto, come diceva mio padre, non si può piacere a tutti.
Fare ordine nei legami, distinguere in maniera chirurgica quelli sani da quelli disfunzionali consente di lasciare spazio al nuovo da offrire a chi lo merita e può ricambiare con la stessa lealtà.
Potrebbe essere un’attività simbolica e proficua per chiudere il vecchio anno e iniziare il nuovo nel migliore dei modi possibili.
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