C’è ancora luce. È una sensazione bellissima, che ripara dal buio dell’inverno. Uno dei riti propiziatori che amo fare è il cambio di stagione, nella segreta speranza che la stagione cambi davvero e in fretta.
Mi armo di buona volontà, mi sbraccio, metto la tuta più comoda e slabbrata che posseggo e mi metto in posizione di ascolto dinanzi all’armadio. Ripasso con la memoria la stagione trascorsa. Viaggio da ferma. Ho lo sguardo sognante che si posa un po’ su un tubino nero – tanto per cambiare – per poi passare alla mia giacca preferita e al mio maglione verde bottiglia, caldissimo.
Il cambio di stagione è un rituale lento e simbolico, separa l’armadio dell’inverno, delle fatiche, del grigiore del lavoro, da quello dell’estate, del riposo, della possibilità e delle temperature calde.
Il mio armadio, in realtà, non ha delle differenze cromatiche importanti, e anche le temperature al sud non sono più così estreme.
Mi trovo felicemente affezionata, e devo dire fedele, ai soliti colori che hanno un’identità chiara e che in fondo mi rappresentano e non mi tradiscono mai.
Do una prima occhiata sommaria, mi rendo subito conto di quello che manca e che ha avuto una migrazione anomala e clandestina verso l’armadio di mia figlia.
Inizio a pensare come rassettare, cosa tenere perché non si sa mai, e cosa dare in dono.
Spalanco i cassetti, tiro fuori tutto, attraversare quel caos mi regala un senso di ordine. Guardo, riguardo, osservo, penso e ripenso. A volte annuso, come farebbero i miei cani.
La mia memoria olfattiva ha sempre una potenza inaudita: mi trasporta altrove, il mio luogo preferito.
Ha il potere di farmi essere qua e farmi sentire da un’altra parte.
Abito dopo abito attraverso i momenti dell’inverno trascorso, gli incontri fatti o che avrei potuto o potuto fare, gli abiti indossati o che avrei voluto indossare e non ne ho avuto l’occasione. Quelli che ho deciso di conservare per le occasioni del cuore. I miei jeans preferiti, che abitano il mio armadio da sempre e per sempre.
Ripenso a quel teatro, a quel cinema, a quell’intervista, a quel paziente. E viaggio con la memoria. Dopo una fatica inenarrabile che mi regala un ordine incredibile, mi sento come se avessi assistito a un tramonto e a un’alba: esattamente in quest’ordine.
L’armadio ordinato, rassettato, pronto per una nuova stagione della mia vita mi sembra un’alba: quel luogo dove tutto può ancora succedere.
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