“Sei stato monello, per te quest’anno non ci sarà nessun regalo”. E così è stato.
Era il 23 dicembre la pre-vigilia più vigilia che ci sia, il giorno che precede una ricorrenza natalizia, mai come questo mostruoso anno, atipica e struggente.
Ci troviamo in una scuola dell’infanzia della Versilia, e un piccolo, anzi piccolissimo, alunno rimani a mani vuote. Per lui, nessun regalo, lo ha stabilito la sua insegnante. Colei che gli è stata accanto (forse) durante la pandemia, colei che ha accolto le sue angosce non verbalizzate ma agite, le sue paure, il suo rifiuto per la mascherina e per la deprivazione da nonni e merende condivise. Colei che gli avrà parlato a lungo e che lo avrà consolato. Colei che avrà intercettato il suo piccolo cuore in panne e che avrà parlato più volte con i suoi genitori, in panne anch’essi, per cercare di capire, di capirlo, di aiutare, di aiutarlo e nell’aiutare lui aiutare anche la sé stessa che è stata bambina.
Il piccolo alunno è stato vivace; forse monello, ha disturbato; non sappiamo bene che cosa abbia fatto di così grave, ma la sua insegnante ha ritenuto opportuno pulirlo. E per di più davanti agli occhi sgranati e increduli dei suoi compagni. Nell’assenza del dono e nella presenza di compagni c’era la vera punizione: la mortificazione, l’esclusione, il pubblico ludibrio.
La sua insegnante, con questa recita ben organizzata, gli ha regalato quell’indelebile sensazione di inadeguatezza, del sentirsi sbagliato, fuori posto, cattivo. La punizione per questo bambino è stata drammatica, e la ricorderà per sempre, così come i gesti buoni (anche quelli si ricordano per sempre, soprattutto quando riparano il cuore): la negazione di un dono a causa del suo modo di essere, non di fare.
Il bambino, immagino, si sarà identificato nella punizione con il rischio di diventare lui stesso, per intero, una cattiva persona.
Durante l’anno più buio che abbiamo attraversato, quest’atipica insegnante, probabilmente al buio anche lei, ha ritenuto opportuno negare al bambino la gioia di un dono. Quello che tutti, grandi e bambini, aspettiamo. Quello che ripara ogni ferita, che ti fa sentire voluto bene, amato, o semplicemente pensato.
Quello che ti scalda il cuore e che ti fa venire voglia di scaldarlo a qualcun altro a tua volta.
Per questo bambino così tanto “presumibilmente” cattivo, a soli quattro anni, niente doni. Per lui no.
Lui sarebbe dovuto essere adulto, paziente, non subire le scosse telluriche della paura da pandemia. Lui doveva essere buono, sereno, collaborativo, immune da ansie e angosce. Insomma, un adulto e per di più risolto. Di quelli in via d’estinzione, come la foca Monaca, la mia preferita.
Fonte: La Stampa