C’era una volta l’emozione, quella che, come un uragano estivo, ti ricordava che eri vivo.
C’era una volta lo spartiacque tra pubblico e privato, tra quello che andava mostrato e piacevolmente condiviso, e quello che invece andava gelosamente custodito.
Le emozioni abitavano la casa del pudore e della segretezza, e avevano un potere enorme perché sotto chiave.
Agivano sotto soglia e non andavano né condivise né postate, tantomeno spiegate.
Stavano lì a illuminarci il cammino, e nessuno di noi avrebbe mai pensato di sostituire un’emozione con un’applicazione.
Adesso ci sono i social che hanno tolto il lucchetto al pudore e hanno stemperato le emozioni, rimescolando intimo ed estraneo, privato e pubblico.
Così, in tanti, tra un like e un faccino sorridente confondono l’entusiasmo per un’emozione.
Succede, però, che le emozioni durante il cammino della nostra vita vengono ancora a farci visita.
Bussano alla porta della nostra psiche e, se siamo ben disposti all’ascolto, ci scaldano il cuore.
A volte non sappiamo come chiamarle e ne abbiamo più paura che cura, cerchiamo di incastrarle in un nome, in una definizione, in una casella preesistente di quello che consociamo già, perché la paura più grande è quella di poterle vivere.
Può capitare che un incontro, una voce, un odore o uno sguardo ci rimangano dentro a lungo e ci suscitino un’emozione.
Da adolescenti succede di continuo, ma è raro che l’emozione sopravviva allo scattare della mezzanotte; i ragazzi non distinguono l’impulso dall’istinto, così, l’emozione fa la stessa fine della scarpetta.
Da adulti, invece, succede di rado, ma quando succede diventa entusiasmo e vertigine, perché un adulto, solitamente, segue l’istinto e lascia stare l’impulso.
Quando intercettiamo un’emozione, dobbiamo decidere se sentirla e non capirla, se assecondarla e non metterla sotto chiave, se rispettarla e concederle un’opportunità.
L’emozione può diventare sentimento.
La magia è far sì che il sentimento rimanga emozione.
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