La consulenza di coppia, talvolta, viene considerata l’ultima spiaggia per la coppia in crisi.
Dopo la vacanza terapeutica, la confidenza con l’amico del cuore, il buon consiglio della mamma, la pausa di riflessione e l’amante.
Giungono in consultazione partner delusi e addolorati dalla loro dimensione dell’esistenza. Rapporti tiepidi, dal clima emotivo clemente: né troppo caldo né troppo freddo, e per di più da troppo tempo.
Matrimoni traballanti tenuti in piedi da amanti stagionali o cronici, da doppi telefoni, doppi account e doppie vite faticose e logore. Amori ammalati che fanno ammalare.
Una sessualità saltuaria a sigillo di una presunta normalità coniugale, scevra da gioco e da empatia sessuale.
I partner ricordano più due coinquilini che due conviventi, e il ricordo di com’erano è diventato talmente sfocato da farli sentire al sicuro e in pericolo al tempo stesso.
Poi, d’un tratto, per un motivo o per un altro, durante il cammino della vita della coppia, la crisi diventa frattura e non può più essere trasformata in risorsa.
Un partner, quando si accorge che la palude dell’immobilismo si sta trasformando in sabbie mobili, chiede aiuto alle carezze verbali della terapia.
Uno dei due, solitamente il più sofferente e il più consapevole, giunge in studio con il cuore in mano e infranto, nel tentativo di trascinare in seduta il proprio compagno di vita, che talvolta abita emotivamente altrove già da tempo.
Alcune volte è troppo tardi.
Il partner che abita le terre dell’altrove, non vuole essere coinvolto, non risponde al richiamo della terapia e non vuole nemmeno tentare di rincasare.
Così, si corre il rischio che vada via per sempre.
La paura dell’abbandono, del cambiamento e dello tsunami dell’esistenza, spaventa la coppia che, come lo struzzo, ha fatto di tutto per tenere la testa sotto la sabbia, giocando a nascondino con la verità del cuore.
Quando però uno dei due partner, mosso da coraggio e audacia, si mette a lavorare su di sé, succede che magicamente anche l’altro ne benefici in termini di introspezione.
Così, quando sembra che sia troppo tardi, in realtà, non è mai troppo tardi.
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1 Commento. Nuovo commento
Da sei anni non ho più rapporti con mia moglie, quale effetto di una crisi iniziata prima ed esplosa a seguito di sospetti di tradimento da parte mia.
Mai un vero ragionamento, mai un autentico chiarimento, mai un teale approfondimento su un matrimonio congelato nel nulla, mantenuto in vita dalla distanza abituale per motivi di lavoro e da un percepito “obbligo” di stare insieme per nostra figlia.
Farci aiutare? Non se ne parla, lo ha sempre rifiutato. In mezzo, autorità paterna ridotta ai minimi termini a causa di continue “correzioni” da parte della Mater Familias, come se continuasse a casa la professione di insegnante. Bacchettate nelle mani al papà discolo… L’esito è da manuale: la figlia tredicenne tratta tutti come se fosse la Principessa di Taitù, noi umili schiavi, beneficiati da ricorrenti ruffianate e pianti riparatori, di fronte a enormità assolute da pene corporali di college britannici.
Insomma, un casino. Da cui io ho deciso di scappare: non c’è amore, non c’è matrimonio.
Le voglio bene? Sì. Mi vuole bene? Sì. Non come coniugi però, come coinquilini, seppur non sempre graditi.
E così io sto ristrutturando casa nostra in Sicilia, con le mie mani (nel tempo libero, sono amministratore di una società operante nella sanità), mentre lei si oppone da 1500 km di distanza.
Forse un aiuto ci sarebbe stato utile, ma ormai è davvero troppo tardi.
Grazie per le sue riflessioni, sempre stimolanti.