In un mondo sempre più ego centrato la tendenza all’accusa rimane un’abitudine diffusa. Anche in amore. Anche tra gli amanti i toni sono spesso duri e accusatori. Frasi che tagliano più di mille lame diventano tristi e pericolose abitudini. Trasportano in territori franosi dai quali, talvolta, è faticoso venirne fuori.
Dita puntate e toni spietati e dittatoriali accompagneranno la comunicazione di chi si ama; segue il non detto, la difesa, il silenzio. E nulla è più pericoloso del silenzio.
“Tu hai fatto, tu non hai fatto, tu hai detto, tu non hai detto, tu avresti potuto fare o essere”, per fare qualche esempio, pongono l’altro in una condizione di disagio e con molta probabilità impiegherà le sue energie per difendersi dagli attacchi ricevuti e non di certo per cambiare la rotta del cuore e del comportamento irritante. Adoperare ogni tanto “io” apre porte insospettabili.
Non è un invito al narcisismo e nemmeno all’egoismo o all’egocentrismo. È una strategia di comunicazione per tentare di aprire il cuore a chi amiamo e per far sì che il legame a cui teniamo tanto funzioni, e anche a lungo.
Ma nonostante ciò, quando si ama, spesso si tende a dare il peggio di sé e di sempre. Proprio perché si ama. In psicologia c’è un concetto secondo me molto bello: “il messaggio Io”, di cui ha scritto a lungo Gordon.
È un tipo di comunicazione empatica e autentica che serve per evitare reazioni negative e di chiusura negli altri, soprattutto in chi amiamo, come figli e partner.
Il “messaggio io” è una sorta di antistaminico emotivo per alleviare razioni allergiche regalate da frasi irritanti o toccanti.
In amore sarebbe bello sentirsi dire “io avrei voglia di sentirti più vicino” al posto di “tu sei distante, altrove, algido”.
Oppure: “mi sono sentita offesa” al posto di “mi hai offesa e trafitta”.
Sembrano esercizi lessicali quasi superflui, ma così facendo – anzi dicendo – il partner non erige un muro difensivo invalicabile, non si sente offeso, accusato, disprezzato, potrebbe invece aprire le orecchie e il cuore al messaggio che riceve.
Provare per credere.

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