Social che vai, amore che trovi.
Giovani e diversamente giovani utilizzano i social come un’agorà virtuale.
Come una vetrina, un palcoscenico.
Un luogo dell’altrove dove esibire parti di sé, emozioni o presunte tali, amori, amanti e conquiste.
Questo piccolo spazio pubblicità, come sostiene il mio influencer preferito, Vasco Rossi, crea una confusione senza precedenti tra immaginazione e realtà.
Tra altro e se stessi.
Tra il virtuale e il reale, tra il reale e il virtuale.
La saracinesca che andrebbe sbarrata per tutelare le emozioni e il reale viene spalancata verso il virtuale, come se fosse una sorta di autopromozione continua verso il mondo; alla ricerca di amori, amanti, avventure o supplenze affettive, insomma, consolazioni per solitudini mascherate.
Chi posta lacrime e sorrisi, chi figli e cani, chi pietanze e lenzuola, in cambio di like e di emoticon a buon prezzo.
In una giornata di solitudine, per esempio, passare da un social all’altro, guardare il mondo da un oblò e spiare la vita altrui, più che distrarre dal rumore di fondo che si chiama sofferenza, solitudine, malumore o depressione, diventa una malsana strategia per mostrare e non sentire.
Per apparire e non essere. Per flirtare e non amare. Per trasformare le innocenti evasioni sentimentali in attentati alla coppia.
Quindi, social si, ma con un bugiardino salva psiche.
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