La vita non sempre è un cammino pianeggiante. E quando è sin troppo in pianura, annoia e smarrisce il suo fascino da cammino impervio e variegato. Le ripide salite si alternano ai belvedere e alle discese sdrucciolevoli, più pericolose delle salite. L’umore gioca a nascondino con la serenità, e fluttua come se fosse su un’altalena.
Siamo affamati di emozioni, di novità e di straordinario, e mentre cerchiamo con affanno la meraviglia la smarriamo dalle (e delle) piccole cose.
I piccoli attimi di felicità sono oasi nel deserto della fatica. Del quotidiano. Della stanchezza cronica. Dello scontato. Ma non sempre ce ne accorgiamo. Abitano in un sorriso e in una lacrima. In una stretta di mano e in una carezza. In un buon bicchiere di vino rosso siciliano o dentro un cannolo alla ricotta (sempre siciliano). Nelle parole d’amore e di cura scritte per noi. Nell’eredità d’affetti che ci ha lasciato chi abbiamo amato o voluto bene. Ma nonostante ciò non vediamo e non sentiamo, sembriamo anestetizzati.
Dovremmo, almeno ogni tanto se non ogni giorno, imparare a porci delle domande e darci delle risposte: sincere, leali, crude se serve.
Quanta felicità c’è nella nostra giornata? settimana? mese? anno?Tanta, poca, pochissima, nessuna. Dove dimora la nostra felicità o assaggio di felicità? Nell’amore, nelle supplenze affettive, nel lavoro, da nessuna parte.
Gli intervalli di felicità sono dei fulminei arcobaleni dentro le giornate cupe e buie; ritemprano e regalano quel concime emotivo per sperare ancora. Per andare avanti. Per far finta di non sentire la fatica del vivere, per sfocare giusto un po’ la visione dinanzi alle brutture della vita, per ascoltare a intermittenza le oscenità che la vita ci offre e soffermarci sul bello e sul buono.
Rimane un unico problema: come scorgere la felicità o i suoi piccoli, ma intensi, intervalli. Dove e come trovarla dentro di noi e fuori da noi.
A volte abbiamo paura di amare e di essere felici, o di essere felici e di amare, perché per essere felici ci vuole coraggio e anche fatica.
Così camminiamo come i funamboli sulla fune del controllo e della paura di perdere il controllo.
Senza partire e senza restare. (Vedo tante coppie in studio che mi portano un carico enorme di immobilismo e infelicità, mentre mi chiedono scelte, coraggio, cambiamento, un assaggio di felicità). Sull’uscio della porta del cuore: immobili e infelici. Nella terra di mezzo, tra la partenza e l’approdo, senza partenza e senza approdo, al riparo e in pericolo, le due paure antitetiche impediscono di arrivare alla meta e compromettono il percorso. Forse proprio lì, in quella terra di mezzo del cuore e della vita, dovremmo cercare di scorgere i nostri piccoli intervalli di felicità.
Riconoscerli, accoglierli, accarezzarli e ringraziarli: ci mostreranno la strada in direzione vita.
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