C’era una volta il complimento e c’era anche il corteggiamento. C’era quella frase ad effetto che ti camminava sottopelle e ti faceva sentire una persona migliore: più bella, più buona, più luminosa.
Poi c’erano tutte quelle altre parole alternate alle pause e alle telefonate, finanche alle lettere. C’erano le cene e non gli apericena con il loro tempo dilatato e sospeso, e c’erano le parole.
Quella formula magica, quella sorta di abracadabra che spalancava il cuore o che lo chiudeva per sempre.
Adesso c’è la rete e ci sono i like: il pollice capovolto e il pollice all’insù, segue il cuore di colore variabile dalla faticosa interpretazione e la faccina arrabbiata, e più o meno ci fermiamo qui. Lo stesso pollice vale per tutti, non ha sfumature lessicali e neanche emozionali.
Eppure, nonostante i cambiamenti epocali a cui stiamo assistendo, le parole rimangono un posto caldo nel quale rintanarsi. Rimangono uno strumento prezioso, una bacchetta magica per fare avverare i nostri sogni.
Cosa c’è di più efficace di un buon mazzo di parole?
Per corteggiare e anche per amare ci vuole coraggio e anche impegno, e ci vogliono le parole.
Bisogna cercare le parole giuste, ascoltare il cuore e guardarsi dentro, tradurre le emozioni in parole, preferibilmente di senso compiuto. Poi ci sono le prole che cuciono gli strappi, che creano i ponti, che dicono addio, che accompagnano durante le mareggiate della vita.
Quelle inventate, mai dette, nate grazie a quell’incontro o a quell’altro.
Soltanto così i legami volatili e a termine possono transitare a quella dimensione di profondità e di ebrezza che si intreccia con la cura e con l’amore.
Per amare ci vuole coraggio accompagnato da una dose massiccia di parole.
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