Quando eravamo piccoli ci hanno insegnato a non accettare caramelle dagli sconosciuti, da grandi sarebbe utile imparare a non accettare sogni dagli sconosciuti.
Dai millantatori di sogni. Dagli imbroglioni di sentimenti. Dai rottamatori di emozioni. Dai narcisisti. Dai pifferai magici. Dagli incantatori di serpenti.
Tutti noi abbiamo bisogno di sogni.
Di emozioni. Di concime. Di vita. Ma non di imbrogli. Il rapporto tra sogni e solitudine, tra sogni e giri di boa dell’esistenza, è strettissimo.
C’è chi sogna per realizzare un progetto, per trasformare un’emozione in affetto.
Una passione in lavoro.
Chi per sentirsi vivo. Chi per non vivere.
E chi perché ha paura della solitudine.
La solitudine è una malattia silenziosa che coinvolge giovani e anziani, uomini e donne, single e coniugati.
Oggi, ai tempi dei social, siamo tutti un po’ più soli.
Il cellulare non lenisce nessuna ansia da separazione; non accarezza, non guarda negli occhi, non bacia, e la solitudine diventa la nuova pandemia della modernità.
La ricerca del sogno, da non accettare mai dagli sconosciuti, può presentarsi in vari modi: un sogno a lunga conservazione, come il latte, o con la data di scadenza, come lo yogurt.
Il primo è quello sano, faticosamente agognato, procrastinato perché ha un sapore più inteso, che appartiene a chi amministra con pazienza le emozioni e i progetti; il secondo è quello a portata di app e di imbroglio.
Le pozioni magiche dei nostri giorni, fatte di app e social, nutrono la solitudine e non stemperano il mal di vivere, che sembra essere aumentato in maniera esponenziale in funzione del vivere online.
Male oscuro che inchioda un po’ tutti noi, a intensità variabile, a guardare il mondo da un oblò, più che a farne parte.
Ogni trappola può diventare trampolino, e ogni attacco ai sogni un incentivo per innaffiarli ancora e ancora di più.
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