Nella morsa della paura, nell’abbraccio del coraggio

Ludovica (nome di fantasia), è una giovane donna in preda al vuoto e alla paura.
Ludovica giunge in consultazione intrappolata nella morsa della paura.
Ha paura di tutto: delle malattie e delle autostrade, di stare da sola e anche in compagnia, della morte e anche della vita, di amare e di essere amata, soprattutto. Ha paura di correre troppo ma anche di rallentare. Del buio della notte con i suoi mostri e del suo inconscio avverso, e della luce con il suo bagliore e le sue verità.
Ludovica, negli anni, aveva escogitato tante strategie per prendersi in giro, per far finta di stare bene, per non amare, per non essere felice, per non vivere.
Sino a quando, un bel giorno, questa teca di cristallo nella quale si era rintanata è andata in mille pezzi ed è appesa l’angoscia che l’ha poi condotta da me (e che adesso ringrazia).
Durante la nostra prima separazione per le festività natalizie ricevo questa email:
Buongiorno Dottoressa,
lo so che siamo in vacanza, che il suo studio è chiuso, così come eravamo rimaste, e che il nostro primo appuntamento sarà a gennaio, lo abbiamo scritto insieme su quel foglietto rosa che mi piace tanto. Ma io sono qui, su quella panchina sotto l’albero, di fonte al suo studio chiuso.
Buio, senza luce, senza pazienti e soprattutto senza di lei e me con lei. Sto cercando di fare finta che non sia Natale, così me ne sto seduta qui sotto questi alberi che conosco bene e di cui non ho paura, in strada.
Gli albero sono proprio come me, non hanno foglie. Mi sento in mezzo al vuoto, al nulla, in balìa di me stessa, soltanto qui mi sento a casa. Un po’ più dentro di me e un po’ meno fuori da me.

Sto cercando di venire al mondo, come dice sempre lei, e so che ci stiamo riuscendo.
Sotto quest’albero, sulla mia panchina preferita che mi sembra un molo, brindo a Lei, a noi, al nostro cammino condiviso.
L’abbraccio forte”.

Ludovica era figlia di un aborto mancato. Una non voluta. Non amata. Ludovica aveva imparato sin da bambina che l’amore si baratta con la bravura e i buoni voti scolastici. Che le merende si preparano da sole e che la mamma può anche dimenticarla a scuola. Si sentiva brutta, anzi orribile, anche se io la vedevo luminosa nelle sue mille ombre. Pian piano ha compreso che l’amore è altro. È forza. È energia. È profondità. Non c’entra niente con la bellezza. Non si merita. Non bisogna essere bravi o buoni per meritarlo.
Ludovica e io siamo in cammino, felici di esserlo.

Grazie Ludovica di avermi chiesto di raccontare la tua storia.

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1 Commento. Nuovo commento

  • Come si fa a non mandare un forte abbraccio a Ludovica. Chi come Ludovica ha sentito quel vuoto vorrebbe essere lì con lei, seduta su quella panchina per dirle che questa dottoressa le cambierà la vita, perché l’aiuterà a fare l’incontro più bello e più importante: quello con se stessa, così spariranno le paure.

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