Non è la prima volta che mi capita di ricevere in studio un paziente artista. Uno scrittore, un attore, un musicista.
Incantata e onorata per il percorso che mi aspetterà, mi addentro in punta di piedi nel suo mondo interiore.
Un universo complesso, dipinto con chiari e scuri – più scuri che chiari -, con sottoboschi e praterie – poche -, abitato da mostri e fantasmi, da fate e fantasia. Da sublimazioni e compensazioni. Da meccanismi di difesa della psiche e derive della passione. Da vette e abissi.
L’artista che diventa paziente mi chiede una cura, ma con moderazione.
Mi chiede aiuto perché il suo mondo interno così variegato e così profondo non lo fagociti più di tanto e lo restituisca alla vita, ma non vuole e non può rinunciare a lui.
Lo accarezza, lo protegge dal quotidiano, dagli attacchi della realtà, dal partner. Da sé stesso e dalle sue parti sane.
Non desidera essere guarito del tutto perché altrimenti smarrirebbe la sua fonte inesauribile di creatività.
Uno scrittore poco tormentato diventerebbe scontato. Un musicista troppo allegro o troppo sano non riuscirebbe a far emozionare con le sue note.
Un attore che non conosce i meandri della sofferenza correrebbe il rischio di essere monocorde.
L’invisibile sommerso che sanguina e che chiede di essere ascoltato diventa suono, parole, recitazione. Altro per andare altrove.
Non può essere spazzato via, sedato, cicatrizzato alla perfezione. La ferita dovrà rimanere visibile ma invisibile, non troppo dolorosa: la sua personale Agorà sui demoni del mondo interno.
Si dovrà arrestare l’emorragia senza cementare la fonte della creatività. Il dolore dovrà generare ancora magia.
In realtà, pensandoci bene, le mie penne preferite appartengono a uomini tormentati. A donne profondamente inquiete e inquietanti.
A persone e personaggi che hanno abitato il mio mondo interno e che lo hanno arricchito, regalandomi le loro sofferenze trasformate in parole che si sono sintonizzate con le mie.
I mondi di carta che più hanno condizionato la mia formazione sono stati scritti da uomini tormentati.
Quindi, quando un paziente artista mi chiede: “mi curi ma non troppo”; non posso fare altro che rispettare la sua richiesta e rimanere incantata dalla sua arte.
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