Ho immaginato di prestare la mia penna a Roberta, nome di fantasia, che da affamata d’amore è diventata disobbediente e risolta. Mi ha salutata la scorsa settimana ringraziandomi per il lavoro fatto. Ha avuto il piacere di regalare una bellissima pianta fiorita al mio studio, che simboleggia la sua fioritura e rinascita. E io le sono molto grata.
Caro mio,
lo so che sono cambiata e che era decisamente più facile amarmi quando io non mi amavo. Quando mi punivo, mi tormentavo, a volte mi tagliavo, mi mettevo in un angolo e mi fustigavo con le parole violente e con il cibo. Quando mangiavo cibo spazzatura per non sentire il vuoto. Quando dormivo male: troppo o troppo poco.
Mi sono chiesta più volte se il tuo fosse amore o smania di possesso, e se il mio fosse amore o dipendenza affettiva.
Quando ci siamo innamorati ero sprovvista di quello spazio interno, assolutamente indispensabile per pensare e riflettere e interrogarmi su me stessa, che occupavo con tutto pur di non sentire il vuoto. Avevo una gran confusione tra vuoto e spazio e avevo il terrore di entrambi.
Ero talmente attanagliata dal riempire quel vuoto insopportabile che lo riempivo anche con te.
Mi amavi di più quando ero fragile e confusa, quando pendevo dalle tue labbra e mi nutrivo, avvelenandomi, delle tue rassicurazioni che rinforzavano le mie incertezze.
Mi amavi di più quando non chiedevo, quando preferivo stare male in tua compagnia che bene da sola, in mia compagnia. Quando sceglievo te e sono te alle mie amiche, al mio sport, alle mie passioni. Quando brillavi di luce riflessa e mi prosciugavi ogni energia psichica.
Quando accettavo l’invisibilità all’identità – la mia – e il buio alla luce. Quando avevo inconsciamente scelto la Siberia dei sentimenti alle mani che accarezzano e scaldano. Mi amavi di più quando ero come tu volevi che fossi e nell’affannarmi per diventare la donna perfetta per te diventavo sconosciuta a me stessa.
Poi, un bel girono, qualcosa dentro di me si è spezzata. Ho sentito un dolore atroce, le nubi hanno iniziato a schiarirsi e io a vedere.
Adesso vedo, sento, parlo. Vedo me stessa e capisco come sono diventata: così tanto lontana da me stessa pur di stare accanto a te.
Adesso ti vedo chiaramente e so bene che non sei l’uomo che pensavo che fossi, ma ben altro. Sei l’uomo che avevo idealizzato, mitizzato e di cui avevo bisogno per curare le mie fragilità. Tu che sei entrato dalla porta di servizio del mio cuore ferito. Dal retro. Dalla paura della solitudine e dell’abbandono.
Grazie a quel solco invisibile a me ma ben visibile a te, ti sei fatto strada e io te l’ho concesso. Hai squadernato ogni mia certezza e hai spodestato ogni mio retaggio di felicità.
Adesso, finalmente, mi sono ritrovata e ho smarrito quella immagine edulcorata e falsa che avevo di te e quella sbiadita e sbagliata che avevo di me.
Mi piaccio e anche tanto e mi voglio finalmente bene.
Grazie per gli errori che mi hai fatto commettere. Ti auguro ogni bene, ma lo auguro soprattutto a me.
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