I parenti della sposa. Quelli dello sposo. Gli amici, i colleghi. Le mille liste: dilatate, rimpicciolite, riadattate per far contenta la nonna o la zia e non scontentare nessuno.
Le partecipazioni e gli inviti. Il fotografo e il fioraio. Questo e tanto altro precede il famoso sì. La pandemia ha messo in pausa tutto e tutti, matrimoni inclusi. Prima no, poi si, poi forse ma con le mascherine – poveri sposi e poveri invitati già costretti negli abiti da cerimonia -, adesso si ma i balli devono durare quindici minuti.
Il coprifuoco nel coprifuoco.
Nascono, inoltre, in questi tempi pandemici figure atipiche e bizzarre come il Covid-manager, un “professionista” a metà strada tra un vigile urbano e uno speculatore.
Cerimonia a parte, romantica e costosa, a me i matrimoni piacciono davvero tanto e cerco con tutte le mie forze di farli funzionare.
Accade spesso che una coppia di sposi mi contatti perché si rende conto di essere una coppia vergine, quindi infertile, anche se si tratta di partner adulti. Non capiscono, sono disorientati, hanno atteso tanto, procrastinato per fede religiosa e per pudore, ma intanto quel lasciapassare della fede al dito non gli ha aperto le porte alla sessualità.
Si chiama vaginismo, e caratterizza le coppie bianche. Quei partner che si sono scelti, spesso proprio per le loro disfunzioni sessuali reciproche, silenti e compatibili. Più potenti di mille promesse d’amore.
L’uno ha paura della sessualità e l’altro anche, ma non lo sanno. Un partner è impenetrante e l’altro impenetrabile.
La terapia sessuologia, poi, abbraccia e ripara e li consegna alla dimensione adulta e profonda della sessualità. Al per sempre del cuore e del corpo.
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