Légami senza legàmi: una madre affama e picchia i suoi due bambini di quattro e sei anni

La maternità è qual momento in cui diventi doppia. In cui smetti di pensare a te e pensi solo a lui, a lei, alla sua incolumità e benessere.
Da quella doppia striscetta rosa che sancisce la tua maternità senti una responsabilità schiacciante che ti toglie il respiro, che aumenta il tuo battito cardiaco e che ogni tanto lo silenzia quando non senti più il suo. La tua vita cambia, per sempre.
Lo tuteli, lo immagini, lo accarezzi con la fantasia. Non credi che sia successo proprio a te. Non lo dici a nessuno, né a parenti né ad amici, finché non oltrepassi la soglia dei tre mesi, un per scaramanzia, un po’ per magia.
Non fai sforzi per non creargli degli strattoni, ti senti una fragile e forte Matrioska.
Se soffri per un mal di testa te lo tieni pur di non prendere una bustina perché pensi che possa passare a lui, a lei, e che possa avvelenarlo. Così soffri, tanto passerà, ti dici.
Lui e più improntante di te e del tuo mal di testa passeggero.
Lui è vita, la tua vita dentro di te.
Tu sei il contenitore più improntate di tutto; sai bene che tra contenitore e contenuto c’è un dialogo muto, silente, profondissimo. Lui non parla ma tu sai. Si nuove e nel muoversi ti dice come sarebbe meglio che ti mettessi per farlo stare più comodo. Poi mangi qualcosa che non gradisce e ti viene il reflusso. È ancora in pancia e già ti parla, e tu parli con lui.
Finalmente nasce, le tue emozioni si alternano alle tue ansie, e tu non credi che sia accadendo. Adesso dovrai condividerlo con il mondo, non è più soltanto tuo. Il tuo ventre caldo lascia il posto al mondo esterno e da questo preciso istante dovrai fare attenzione a tutto senza però diventare asfittica.
Lo guardi, ti guarda ed è già amore. Un amore di quello che durerà per tutta la vita: un amore discendente, il
più potente, il più viscerale.
Potrà farti di tutto: arrabbiare, innervosire, mancarti di rispetto, preoccupare ma tu sei sempre lì con una malsana abnegazione, pronta a riparare, ricucire, educare, amare perdutamente, anche quando lui smette di amare te e anche sé stesso tu lo amerai ancora di più.
Perché lui è una parte di te, solitamente la migliore.
Accade, però, ogni tanto per fortuna, che una madre, che madre non è, per motivi occulti tortura i suoi figli.
Accade a Roma.
Una donna di ventisei anni, di etnia rom, viene imputata per i reati di maltrattamenti aggravati nei confronti dei due figli piccoli, di appena quattro e sei anni.
Due poliziotti li hanno visti passeggiare in strada, malconci e instabili, defedati e spaventati, pieni zeppi di morsi di topo e di bruciature di sigarette sparse sui loro corpini smunti.
Pare che per interi mesi i bambini erano stati affamati e picchiati con dei bastoni, nonché frustati con dei cavi elettrici, per poi ustionarli con dell’acqua bollente.
Questi bambini avranno tante buone ragioni per avere paura di amare, ma mi auguro che la vita dopo la loro madre gliene regali di migliori per avere il coraggio di essere ancora felici.

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