Ci aspetta un Natale imprudente, che segue le stesse orme di agosto: anzitempo rispetto alla guarigione collettiva, consumistico. Un’economia ferma atterrisce e il buco che si è venuto a creare è un buco che ci camminerà a fianco e addosso per lungo tempo, che ricadrà sui nostri figli e sui nostri conti corrente.
Ma una pandemia che sta spazzando via tante vite, di persone anziane e giovani, bianche, nere e gialle, ricche e povere, che non guarda in faccia nessuno, che non si ferma, che rallenta e che riparte ci fa sprofondare in un buco più grande, quello dell’angoscia e dell’incognita.
In un mondo che non ci vuole più, dove la natura grida pur di essere ascoltata, imperversa l’egemonia dell’Io, anzi dell’ego, delle esigenze personali e consumistiche a scapito del progetto, del rispetto e del futuro.
In un mondo che è diventato febbrile e infetto, la voglia di brindare e di avere una casa piena di amici e parenti sta lentamente (spero) lasciando il posto all’intimità degli affetti e alla dimensione essenziale degli incontri e degli scambi.
Il Covid non ci ha resi migliori, così come millantano in tanti, non ci ha trasformati in esseri umani più umani, non ci ha stravolto.
Ha esacerbato il lato occulto di ognuno di noi: chi era sensibile lo è diventato di più, chi era egoista ha confermato la sua esistenza più intima, chi era gentile è diventato gentile al quadrato, chi era avaro e opportunista non dismette gli abiti del passato.
Una pandemia del genere non può e non deve passare senza lasciare traccia di sé.
Non mi riferisco alle tracce economiche di cui purtroppo dobbiamo occuparci, ma come tutte le tragedie dovrebbe disseminare insegnamenti dai quali ripartire e rinascere come l’araba fenice dalle proprie ceneri.
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