L’anticamera di un dolore è un luogo molto frequentato, ma poco conosciuto.
È silenzioso e avvolgente, talvolta si traveste da parco giochi: inganna e lusinga.
Durante il cammino della vita, può capitare di trovarsi nei paraggi di un baratro – amoroso, lavorativo, esistenziale – senza avere la percezione di essere lì.
Si oscilla dall’indifferenza alla negazione, pur di non toccare con mano il dolore. Dalla rimozione ai dolori muti: i sintomi.
Così, osservi ma non ti osservi, ascolti ma non ti ascolti, sopravvivi ma non vivi.
Ogni tanto, da questo luogo sconosciuto e silente, viene fuori un segnale: d’anima o di corpo.
Un mal di pancia, un mal di testa, un lapsus, un atto mancato, un incubo. Una lacrima.
Ma tu non capisci, perseveri e rimani lì.
Dai la colpa del malessere al caso, al fato avverso, ad altro da te. Pensi che prima o poi il dolore passerà e tornerà il sereno.
Non ti fermi a comprendere le cause del malessere, guardi altro e altrove, smarrisci te stessa, ignara del percorso intrapreso.
Così, l’anticamera di un dolore diventa una trappola. Un luogo familiare, confortevole, dove tutto è già visto e tutto regala la sensazione di casa.
Cambiare, prima di farsi troppo male, traiettoria o partner, diventa un salva vita. Rimanere intrappolati in una colpevole inerzia è il modo migliore per non riconciliarsi mai con la vita e con le sue ombre.
L’anticamera di un dolore è un buco nero dell’anima da cui evadere senza fare mai più ritorno .

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