Massimo (nome di fantasia) è un prestigioso medico. Itinerante tra la Sicilia e gli altri paesi, esporta la propria sapiente arte medica in giro per il mondo, alternando sale operatorie, momenti clinici e momenti istrionici di affermazione di sé, tra congressi e microfoni.
La sua vita privata è sapientemente strutturata su binari affettivi saldi e su un equilibrio sano e funzionale che gli permette di girovagare tra scienza e ludico divertimento, per poi tornare sempre al caldo e rassicurante nido domestico. Quest’affascinante medico, mio paziente soltanto da pochi mesi, ha un fare sicuro e seduttivo, si muove lentamente nello spazio che abita, alternando empatici momenti di relazione con l’altro a un gelido e cautelativo controllo delle emozioni e relazioni.
Uomo colto e pacato, dal fare nobiliare, ha uno sguardo penetrante e magnetico che evoca in chi lo guarda un fare animalesco e primitivo.
Dal mese di luglio, Massimo inizia a seguire una paziente donna per problematiche di salute recidivanti.
Le frequenti visite che la donna era costretta a fare iniziarono a intersecarsi a momenti di scambio culturale ed emozionale caratterizzati da una comunicazione non verbale chiaramente seduttiva. In breve tempo il loro rapporto da medico-paziente iniziò a transitare verso una dimensione di reciproca attrazione e attenzione al mondo dell’altro, che sfociò in un audace scambio epistolare, alternato a momenti di strategica assenza.
La vita sessuale del mio paziente era caratterizzata da un recente silenzio dei sensi, che si era accentuato dopo la nascita del secondogenito. In realtà, dai colloqui successivi, si delineò sempre di più che il reale motivo della consultazione non era il presunto calo del desiderio sessuale, ma la preoccupazione per il riaccendersi del desiderio in altri talami diversi da quello primario. Questa nuova relazione, consumata tra l’etere e fugaci incontri rubati al quotidiano, veniva abitata da una passione che si alternava a feroci sensi di colpa nei confronti delle proprie vite strutturate e a sprazzi di buon senso. Un equilibrio variabile tra follia e raziocinio, fra sapore primordiale e sicurezza familiare, estremi che sembravano non poter coesistere all’interno della stessa relazione, per il dolore insito nella dimensione stessa di quell’ambivalenza.
Massimo sosteneva che non poteva esistere piacere nella follia senza il senso di colpa nel raziocinio. Con il proseguire delle sedute e l’approfondimento della conoscenza delle pieghe psichiche di quest’affascinante medico siciliano, mi rendevo sempre più conto che il suo desiderio sessuale veniva nutrito dalla dimensione dell’attesa e delle difficoltà e che per accendersi necessitava di una dimensione di pericolosità e sofferenza, elementi che ricreava nelle sue relazioni erotiche e sentimentali.
Massimo, mio paziente, e la sua paziente tentano a lungo di non dare ascolto all’attrazione e alla seduzione che giorno dopo giorno li catturava come una ragnatela, nonostante fosse per entrambi impossibile instaurare un condizione di immunità erotica.
Nel rispetto delle loro famiglie, si chiedevano se scegliere tra sofferenza e noia, tra rischio e tutela, ma il desiderio di quanto sperimentato li spingeva a mantenere in piedi quella intrigante e dolente relazione. Quell’atipica paziente faceva l’amore con la sua testa, per questo aveva accesso al suo corpo.
La terapia si è protratta per quasi un anno.
La paziente-amante del mio paziente lo lascia dopo avere aspettato per mesi che lui si concedesse lo spazio di uno sbaglio a favore dell’amore e della passione che avevano provato l’uno per l’altra sulla loro pelle, nella loro pancia.
A terapia conclusa e a “relazione altra” terminata, questi due amanti, che settimana dopo settimana avevano abitato il mio studio e la mia mente, sembravano quasi mancarmi. Mi mancavano le loro emozioni, il loro autentico sentire, la feroce ambivalenza che caratterizzava la loro intimità e la loro capacità di sperimentare, provare, andare oltre il limite del pudore e del buon senso.
Massimo, in seguito, attraversa una successiva fase di lutto psichico, in cui i sensi di colpa si alternavano a gesti riparatori nei confronti della moglie e della famiglia. In realtà, non aveva mai amato davvero la sua paziente, ma grazie a lei e per lei aveva ritrovato sé stesso, il suo essere maschio dominante, il piacere di sentirsi vivo, vitale e soprattutto capace di saper ancora amare.
Quella donna aveva rappresentato per lui una palestra emozionale e sessuale, un percorso che, coadiuvato dalle sedute, gli aveva dato l’opportunità di rimettere ordine nel suo sentire, volere e soprattutto amare.
Dopo una pausa dalle emozioni e dal batticuore, Massimo, senza mai confessare nulla alla moglie l’accaduto, riprese stabilmente a occuparsi dei suoi sentimenti ed emozioni. Imparò, grazie all’amore ricevuto, un nuovo e più funzionale linguaggio verbale, un valore aggiunto al suo sentire. Le parole mai dette si trasformarono in amorevoli carezze verbali per la sua compagna. Il silenzio dei sensi lasciò il posto a una nuova e più vibrante forma di intimità e sessualità, e il suo sonnecchiante sistema ormonale, anche se nutrito dal ricordo di quanto provato e sperimentato, sembrava essere rinato.
Questo percorso terapeutico si è concluso in luglio. Mi ha lasciato come dono uno spazio mentale ed emozionale intenso e vibrante, nutrito dalla piacevole sensazione di essere riuscita ad aiutare Massimo a fare ordine tra il caos del suo sentire e il cautelativo silenzio dei sensi.
A lui resta la conoscenza profonda della sua sessualità, cementata e certificata da un nuovo modo di amare, più autentico, più vero e vibrante, caratterizzato dal coraggio di spingersi oltre.
Oltre sé stesso, la razionalità, la sessualità e oltre il suo matrimonio. Credo che custodiremo dentro di noi il percorso fatto. Spero di poterlo rivedere in seguito con lo steso sguardo grato, appagato e fiero per quanto è riuscito a vivere.
Massimo grazie alla terapia e alla sua amante devota aveva imparato a mettere insieme le tre C della sua sessualità: corpo, cuore e cervello.
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