Talvolta la solitudine sentimentale prende il sopravvento e occupa tutte le stanze della vita.
Talvolta si traveste da scelta, da introspezione, da avversione.
Altre volte serpeggia sotto pelle, diventa portatrice sana di fragilità psichiche e confonde un legame qualunque per amore.
Il chiodo scaccia chiodo di chi non sa abitare con se stesso è un momento a rischio di solitudine sentimentale a oltranza, portatrice di imbrogli sensoriali.
Anche gli amori si ammalano e muoiono.
Quando un amore muore – dopo la fatica profusa per diventare tale -,non muore mai all’improvviso e non muore di morte naturale.
I coniugi non vedono più con gli occhi, e non sentono più con il cuore.
Non si arrendono al male della loro coppia, ma non cercano la medicina, l’antidoto a così tanta sofferenza.
In realtà un amore non giunge alla sua fine quando si smette di vedere il partner amato, ma quando si smette definitivamente di pensare a lui (o lei!).
In una prima fase si effettua una faticosissima gimcana tra il prima e il dopo, tra i ricordi e le emozioni, tra i rimpianti e i rimorsi.
Appaiono i pericolosissimi capogiri restrospettivi.
Si va avanti e indietro nel tempo cercando di recuperare pezzetti di passato e facendoli diventare dei caldi abbracci per un presente di solitudine.
Poi, a un tratto, si impacchetta la propria anima e si trasloca.
Recuperare un amore deceduto, per i più svariati malanni non diagnosticati in tempo, equivale al tentativo di scolpire nell’acqua un progetto.
Assolutamente impossibile da attuarsi.
La solitudine sentimentale trasforma la cartapesta in castello, un calesse in amore, e i narcisisti in principi azzurri. Obbliga ad accontentarsi, a nutrire la fame d’amore con quello che passa, senza capire quello di cui si ha realmente bisogno.
Capire cosa non si vuole più è già il primo grande passo per avere ciò che si desidera davvero.
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