Maltrattata dalle conquiste della modernità, oltraggiata dal rischio di infezioni e dall’Hiv, dalla mancanza di amore e di cura, dal web al posto del corpo e del partner. In questi mesi approda al suo nuovo picco di infelicità: la colonnina del barometro si deflette e sembra toccare le corde più fragili e scoperte di ognuno di noi. L’abbiamo derubricata dal cuore e dal partner, e adesso con il coronavirus, l’abbiamo traslocata dentro uno schermo. Ecco a voi la sessualità.
Chi non vuole rinunciare alla sessualità utilizza tutti i presidi tecnologici a sua disposizione, dalle video chiamate di whatsapp a Skype, a FaceTime, pur di non fare sprofondare la relazione nel baratro della distanza.
Il mio pensiero va al dopo. Quando tutto questo sarà passato, e il bollettino dei morti e degli infettati ci avrà abbandonato del tutto, lentamente, con prudenza e qualche reminiscenza di paura, dovremmo riappropriarci di quello che è nostro: l’intimità.
Questo virus è stato ancora più cattivo degli altri, ci ha negato il contatto, le carezze e i baci. Ci ha obbligati a essere diffidenti e costantemente disinfettati, a stare a un metro e forse più di distanza da amici, figli e amori. I suoi predecessori, come per esempio l’HIV, ha trafitto la sessualità proteggendo l’intimità; con i dovuti accorgimenti e il preservativo l’incontro tra i partner veniva concesso. Covid-19 è drammaticamente più silente, si diffonde a macchia d’olio e ha ferito le nostre risorse sensoriali. La nostra dispensa di ricordi e di sensi.
Una sessualità surrogata, traslocata dentro un monitor di un computer, diventa una supplenza affettiva che può far virare verso una trincea difensiva di autismo tecnologico.
Il rischio è di rimanere dentro le nostre monadi, senza porte né finestre, abituarci al non contatto e alle forme alternative di intimità.
L’intimità è un territorio difficile: soltanto una sessualita coniugata al cuore e ai sensi può regalare l’estasi.
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