Io mangio da solo. Il cenatore solitario

Recita a copione e desiderio di solitudine si sfidano davanti a un menù, vince l’onestà.
“Meglio soli che male accompagnati” sembra estendersi anche alle cene al ristorante.
Abbiamo sempre interpretato il cibo, soprattutto al ristorante, come un momento conviviale di condivisione delle emozioni, di dialogo, di scambio.
Occhi negli occhi, mani nelle mani, e voce del partner nelle orecchie.
Cellulari e solitudine esclusi.
E invece?
Il NewYork Times riporta un dato che stride con il nostro romantico e intimo concetto di cena al ristorante: un numero di newyorkesi in crescente aumento cenano e pranzano da soli, o meglio, in compagnia di loro stessi.
Fenomeno in aumento anche in Italia.
Alcuni noti ristoratori segnalano che negli ultimi anni le prenotazioni di uomini e donne che amano cenare in compagni di loro stessi sono aumentate dell’ottanta per cento.
Quindi, o stanno male in coppia, o stanno bene da soli.
La buona compagnia, quella di se stessi, viene largamente preferita a quella di commensali falsamente amici, o peggio ancora, di partner dall’estraneo sapore, distrattamente presenti.
Quando ceno al ristorante, vengo colta da un attacco acuto di tristezza quando vedo coppie sedute allo stesso tavolo ma in compagnia dei rispettivi smartphone e dei rispettivi social, come se fossero altri commensali, più intriganti e seduttivi dei reali commensali.
Il buon cibo, il buon vino e la compagnia di se stessi, hanno la meglio sulle finte compagnie.
Orgogliosamente asociali.

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