Un mio paziente poco accorto lascia il cellulare acceso durante un amplesso extraconiugale.
In realtà, il cellulare ha ben pensato di rifare l’ultima chiamata senza chiedere il permesso a nessuno.
La signora che ha ricevuto la chiamata, la moglie, pensava che il marito avesse sbagliato e l’avesse chiamata ancora, senza motivo alcuno. Si erano sentiti poco prima e le aveva detto che non sarebbe rientrato per pranzo per un imprevisto lavorativo non procrastinabile.
La coppia era già zoppicante da tempo, ma non erano consapevoli.
Il marito rincasava sempre più tardi, era sempre più muto, sempre meno presente e sempre più scontroso. I figli piccoli, irrequieti e rumorosi avevano distratto la coppia dall’assordante rumore del silenzio.
Da quando era nato il secondo bambino erano ufficialmente diventati soltanto genitori e avevano appeso al chiuso le scarpette dell’erotismo e dell’intimità.
Avevano smarrito lo sguardo verso l’altro, e infondo verso sé stessi. Avevano smarrito i baci, i sensi, le carezze, e quelle parole da blandire dome balsamo durante i momenti di solitudine o di infelicità del cuore.
Avevano intrapreso la strada del processo separativo.
In fondo erano felici entrambi ma non avevo il coraggio di dirselo.
La telefonata imprudente e impertinente ha squarciato le nubi nere, gli ho obbligati a parlare, a litigare, a insultarsi nel peggiore dei modi possibili, e in fondo a sentire di essere ancora innamorati l’uno dell’altra.
Dopo una lunga pausa, il mio paziente è tornato in terapia con la moglie nella segreta speranza di utilizzare il dolore come trampolino di lancio per nuove mete del cuore.
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