Nel mare magnum della sofferenza del cuore, il disagio si manifesta in varie forme e indossa vari abiti.
Abbiamo le persone apatiche, lamentose o clinicamente depresse, le persone paurose e chi, per un motivo o per un altro, è rimasto al buio.
C’è anche chi ha un grande bisogno di affetto e porta dentro di sé un nodo irrisolto di tristezza, un vuoto interno che non è stato colmato nell’infanzia e ancora duole.
Persone che mostrano, ben visibili e ancora sanguinanti, le ferite di chi non è stato amato.
Margherita, nome di fantasia, ha trent’anni. Mi raggiunge in studio su suggerimento del suo ginecologo per chiedere un consulto psicologico per uno stato depressivo e una sindrome premestruale davvero invalidante.
Margherita, per ben tre giorni al mese, tutti i mesi della sua vita, non riesce ad andare al lavoro o ad uscire di casa.
Mi racconta di avere una relazione d’amore con un ragazzo della sua età complice in tutto, anzi, sarebbe più esatto dire colludente.
Durante l’infanzia, Margherita si è convinta di non valere molto. Il sentimento di non essere rispettata, e anche amata, si è rinforzato quando all’età di nove anni ha subito delle molestie sessuali da parte dello zio paterno. L’uomo abitava nello stesso pianerottolo e aveva accesso alla casa con grande facilità.
Il ciclo mestruale per lei sancisce il ricordo dell’età adulta, della fertilità, della sessualità. La scelta del fidanzato succube le serve per non amare altro e altrove, per non rischiare di mettersi in gioco e per non affrontare e rielaborare i dolori subiti.
I traumi possono anche diventare doni, ma bisogna avere il coraggio di non rimuoverli, di attraversarli e di trasformarli in qualcosa di prezioso.
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