Ero seduta agli imbarchi in religiosa attesa del mio volo Ita che da Milano mi avrebbe riaccompagnata a Catania. Il gate diciassette era particolarmente affollato, evidentemente tante persone lavorano al nord e vivono al sud, ho pensato osservandole e osservandomi.
Ognuna di loro aveva un cellulare in mano. Avevano tutti lo stesso sguardo assorto, scollato dalla realtà circostante e rapito dallo schermo. I pollici di tutti ondeggiavano sulle tastiere, in preda a movimenti frenetici. Qualcuno parlava ad alta voce e rendeva partecipe il vicino di sedia, e non solo lui, di telefonate lavorative o amorose, trattandolo alla stessa stregua di un possibile pubblico. Tutti chiaramente noncuranti dell’invadenza e della supponenza contenute in quei toni di voce cosi tanto altisonanti (e non stiamo parlando di Vittorio Gassman).
Nessuno guardava nessun altro e nessuno parlava con nessun altro. Tante monadi: senza porte né finestre. C’era un rumore assordante fatto di tanti silenzi e tante solitudini.
E poi c’era lui.
Un anziano (ma non troppo) signore con un maglione blu. Aveva i capelli elegantemente brizzolati, un pantalone grigio e un maglione blu. L’orologio, non troppo moderno, di quelli piatti con il cinturino in cuoio chiaramente vissuto, portato sul polso destro. I polsini della camicia azzurra – di quell’azzurro deciso, non troppo chiaro non troppo turchese – che fuoruscivamo dal maglione blu e il collo della camicia ben stirato che faceva trapelare una cura d’altri tempi.
Aveva anche le calze – cosa ormai rara al giorno d’oggi – ed erano blu, senza nemmeno una stampa, un coccodrillo o un orangotango, un logo. Le scarpe erano allacciate e pulite; ricordavano quelle di un anziano signore inglese.
Il signore con il maglione blu era seduto in mezzo a tutte quelle persone e aveva un giornale in mano. E non aveva occhi che per lui.
Ebbene sì, uno di quelli di carta che si comprano in edicola e che si aspettano ogni settimana perché quella firma o quell’altra emozionano o irritano. Lo teneva con cura, lo sfogliava con affetto e rispetto.
Leggeva con avidità e lentezza. Non scrollava le pagine come se fossero un social, ma le assaporava. Era evidente che andava in profondità.
Si soffermava su una pagina, la leggeva, corrugava la fronte, pensava, rallentava e solo dopo la svogliava e passava alla successiva.
Quando ha terminata la lettura ha fatto in modo che le pagine fossero tutte in ordine, l’una sopra l’altra con i margini combacianti senza che nessuna sporgesse dal giornale. Lo ha poi piegato su sé stesso e lo ha riposto nella sua borsa. Con cura. Con un rituale lento ed evidentemente rodato che ha del tutto rapito la mia attenzione.
Fatto ciò, il signore dal maglione blu ha sollevato lo sguardo, si è guardato intorno ma nessuno ricambiava il suo bisogno di comunicare. Era solo in mezzo a tanta gente. Era chiaro che avrebbe voluto chiacchierare, magari commentare quella notizia o quell’altra del giornale appena letto, del mondo, di niente e di tutto, ma nessuno sguardo intercettava e ricambiava il suo.
In quella sala d’attesa verso il mio volo, così tanto intrisa di modernità e solitudine, quel signore con il maglione blu e il suo giornale mi è sembrato un ricordo. Il ricordo di mio padre, di mio nonno e di come eravamo.
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5 Commenti. Nuovo commento
Ha assolutamente ragione, al giorno d’oggi non si ha tempo per nessuno, neanche per sé stessi, si è tutti intenti a correre, ma verso cosa?
IL signore col maglione assomiglia a me, siamo oramai in via d’estinzione!
Viaggio molto per lavoro. Mi accorgo, e non solo in aeroporto, che la realtà sociale è ormai così, ahimè!
Osservo tanto intorno a me e, mi rendo conto che, probabilmente, abbiamo smesso di guardare davanti ma guardiamo “oltre” sorvolando sul “vicino”. Spero che post come il Suo lo leggano in tanti come me e che riflettano, domani, nell’alzare lo sguardo e trovarci tutti in una grande “condivisione reale” di idee e persone… lasciando “mute” notifiche e suonerie. Cordialmente. Nicola
Bellissima riflessione. È davvero un piacere leggerla perché riesce a cogliere le sfumature, scavare nei sentimenti, intercettare le emozioni e descrivere la fragilità delle storie di vita vissuta.
Grazie!
……e queste cose non accadono solo nelle sale d’aspetto degli aeroporti!
Viaggio spesso in treno soprattutto sui Bologna Roma ed oramai sono tutti al telefono o davanti al pc! Una volta si parlava, si discuteva, si facevano amicizie; oggi queste ” relazioni” non esistono piu’ e, francamente, un po’ ne soffro.
Grazie