Il partner inquilino è colui che abita la casa come se fosse uno studente universitario: diversamente giovane e fuori corso. Non fa la spesa, non rassetta, non pulisce l’ambiente che abita. Orgogliosamente evanescente e poco collaborativo.
Il partner inquilino è colui che mosso da egocentrismo e qualche goccia sparsa di egoismo si cimenta in paddle, tennis, nuoto da agonista, si arrampica qua e là, viene calamitato finanche dalla partita di burraco, pur di non stare in casa.
Il partner inquilino è colui (o colei) che vive la casa con il rischio effettivo di una tragedia imminente: la precipitazione del tetto sulla sua testa.
È colui che sgattaiola appena può, che oberato di lavoro si trincera dietro una fatica inenarrabile che solo lui ha sulle spalle e che nessuno è in grado di comprendere sino in fondo.
Il partner inquilino è un incompreso, suo malgrado maltrattato dall’altro partner, si trincera in silenzi punitivi e in un’inattività a dir poco irritante che ricorda l’orticaria.
Con fare regale, immune da incombenze e volgari cose concrete da svolgere come fare la spesa o accompagnare un figlio a scuola, pensa a sé stesso. Si doccia, si profuma, si abbiglia a dovere, e come se vivesse in un albergo a cinque stelle, lascia tracce di sé dappertutto ed esce senza rimpianti e tantomeno rimorsi.
Anche per l’ignavia, come per tutte le malattie delle relazioni, c’è una cura.
Il partner inerte e immobile spalanca in quello inerme e disarmato mondi di solitudine e di rabbia. Il secondo (quello stremato dall’inattività del primo) dovrebbe resistere alla tentazione di fare tutto al posto suo e far sì che l’inquilino comprenda il suo modus operandi non è consono alla vita comunitaria e di coppia.
Perché, come sesso accade, tra l’assenza e l’assenza di rispetto il confine è veramente labile.
Quando gli equilibri si ricreano o creano per la prima volta, solo allora, il partner inquilino può trasformarsi in un partner convivente, in un partner amante e per finire in un partner meravigliosamente compagno di vita.

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