Una donna coreana incontra la figlia morta nel luogo del non incontro: la realtà virtuale.
Quando una moglie perde un marito viene chiamata vedova, e viceversa vedovo. Quando un figlio perde un genitore viene chiamato orfano. Quando un genitore perde un figlio, il baratro è profondo e il tunnel senza nessuno spiraglio di luce, così, diventa impossibile trovare un nome che possa definire e contenere questo girone dell’inferno.
Si tratta di un dolore acuto che diventa cronico, di una lacerazione straziante che diventa ingravescente. Di un vuoto che non diventerà mai pieno. Un figlio che ha abitato a lungo prima il cuore, poi l’utero e le braccia non può smettere di vivere, e per di più prima di un genitore.
È innaturale, contro natura.
Il vuoto è drammaricamente incolmabile e il dopo non sarà mai più uguale al prima.
La teconologia che tutto può viene in aiuto anche al dolore: millanta soluzioni antidolorifiche, tampona e acuisce il lutto, facendo sì che il genitore trafitto non lo elabori.
Nel nulla dell’etere, tra i bisogni che diventano desideri e il vuoto che diventa pieno, una mamma torturata dalla mancanza incontra la rappresentazione virtuale della figlia morta. La stessa figlia con cui giocava e che accarezzava. Con cui correva su un prato fiorito e che adesso non c’è più. Alla donna manca tutto e si accontenta di tutto pur di credere di vederla e di toccarla ancora.
Il lutto è un cammino pieno di insidie, va trattato con cura e con rispetto. Può incistarsi e rendere la vita un inferno. Può fare compiere scelte sbagliate e compensatorie. Può trasformarsi in un corteo di sintomi psico-somatici e maltrattare la vita di chi resta. Può obbligare a fare pellegrinaggi quotidiani al cimitero nel tentativo di andare a trovare chi abita altrove, ma in realtà in quel luogo e in quel dolore si va a trovare sé stessi. La sua elaborazione non corrisponde al non pensare più al dolore e alla persona cara che non c’è più, questa sarebbe una malsana negazione o rimozione, ma a trasformarlo in risorsa interiore.
La morte di chi amiamo ci rende sordi ai suoi richiami e indifferenti ai suoi silenzi, con l’unico obiettivo di proteggerci dal dolore di una perdita.
Questo “non-incontro” mi ha profondamente turbata per l’inaffidabilità di un presagio di vita.
La realtà virtuale – nel caso di un lutto – riempie i silenzi, scivola dentro i vuoti senza mai colmarli, crea un frastuono silenzioso, ma non può mai sostituirsi ai luoghi della memoria e del cuore. Di un lutto bisogna avere grande cura e rispetto, e lui ne avrà con noi.
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