Quando un matrimonio è stanco, zoppica, traballa, smarrisce la sua stabilità, cammina in bilico tra la noia e le abitudini. Tra l’indifferenza e la sciatteria emotiva. Tra le parole che feriscono e le assenze che deperiscono. Tra i silenzi per cena e la mancanza di luce.
Va avanti, annaspa, talvolta ha una battuta d’arresto, uno scossone, ma poi riparte, apparentemente senza motivo alcuno.
I coniugi trascorrono le rispettive giornate in due altrove ben distinti. Come due monadi abitano mondi paralleli che nel tempo e a causa del tempo non si incontrano più.
I partner affaticati hanno smarrito la luce negli occhi, lo scintillio, la magia. Le emozioni che erano diventate sentimento si sono sbiadite e pian piano hanno smarrito anche il ricordo dei pregressi battiti. Eppure, c’era una volta il cardiopalmo, la pelle da accarezzare, le labbra da baciare, le notti intime e rassicuranti. C’erano i sospiri, le attese e le sorprese, c’era la gentilezza e la cura. C’erano anche le belle parole seguite dai gesti.
Nel tempo, la coppia stanca smarrisce la passione, non obbligatoriamente per riaccendersi in altri talami, e smarrisce anche la dedizione.
Il grigiore occupa tutte le stanze della vita della coppia e la vita scorre. Il lunedì diventa sabato. La domenica si fa punizione. Arriva Natale. Pasqua. Agosto. Un compleanno, un altro. Una ruga, la successiva. Tutto ricomincia. Sono coniugi ostinati, indomiti, caparbi, ciechi e sordi: struzzi.
Morti ma in vita. Orfani di partner vivi. Avvolti in una terrificante Siberia dei sentimenti.
I due protagonisti del matrimonio stanco sono infelicemente coniugali, parzialmente consapevoli di esserlo, ma sprovvisti di quella dose di coraggio per ricominciare: con lo stesso partner, ma davvero, o altrove. Anche semplicemente e meravigliosamente da loro stessi.

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1 Commento. Nuovo commento

  • E ci si rifugia in una solitudine d’abitudine. Il tempo passa, si lascia passare, si vuole che passi.
    Possibilmente in fretta. Perché non si hanno più le energie per riemergere. La classica rana nel pentolone.
    Succede anche che ad un certo punto, prima di abbandonarsi definitivamente al tempo che scorre, si provi a fare qualcosa. Un qualcosa di meditato per anni, calibrato per non fare danno peggiore.
    Capita anche che per poter lasciare che la bomba scoppi la si affidi ad una psicoterapeuta sessuologa con curriculum da Nobel.
    Si affida la guida di questo ultimo sforzo alla persona più preparata possibile.
    Dopo due anni di tira e molla si capisce che non c’è nulla da fare e si ritorni al punto di partenza avendo pure la consapevolezza di aver perso la speranza.
    Che fare?
    Nulla. Aspettare di morire.
    Perché non si può più rinascere.

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