È un tarlo invisibile che ti cammina sotto pelle. Che si insinua dappertutto calpestando tutto quello che incontra, certezze incluse. Il tuo ospite non si placa. Cerca nutrimento, e attinge energia dalle più profonde fragilità. Si nutre di paure e al tempo stesso le adopera. Gioca a nascondino con loro, a scapito della tua serenità. Si intromette maldestramente tra cuore e ragione, altera il sentire a favore del capire.
Il dubbio è una maledizione, senza di lui ti fidi e ti affidi, quando per un motivo o per un altro, viene a bussare alla porta della tua psiche, proprio da quella porta entrano i mostri, i fantasmi, i soliti noti. Anche quelli che erano stati silenziati e falsamente dimenticati.
Per colpa del dubbio, torna a galla tutto quello che hai tenuto a bada pur sapendo che abitava dentro di te. Così riappare l’abbandono, l’ansia, le ferite dell’infanzia – quella maledetta terra che se non è fertile e ben concimata rimane piena di crepe e rischio frana -, insomma, le tue vecchie e care conoscenze di sempre.
Dal dubbio in poi torni a fare il funambolo, in bilico tra passato e futuro, tra emozioni e paura. Tra ricordi e speranze.
Ti rintani nella tua bolla prossemica, quel posto simbolico e funzionale che utilizzano gli asini per difendersi dagli estranei, e vai avanti.
Si potrebbe ipotizzare che il dubbio abbia asilo politico soltanto nelle personalità deboli, ma non è così. É un tarlo che appartiene a tutti.
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