La parola compagno mi ha sempre leggermente irritata, per una mia innata fissazione circa le sfumature semantiche ereditata da mio padre, non per altro.
Mi sembra una non definizione, poco consona alla dimensione amorosa dello scegliersi – anche se è impensabile definire l’amore -, una sorta di scorciatoia rispetto all’impegno.
Non fidanzati, non sposati, bensì compagni.
Compagni di cosa? di avventura? di vita? di banco? di scampagnata?
Mi piace di più partner, coniuge, amato, il suo nome e basta, per esempio, senza definizioni di ruolo.
I compagni, uomini o donne che siano, sono coloro he si coniugano con un partner che, solitamente, proviene da un’altra relazione, con o senza figli.
Nella seconda ipotesi, quindi in caso di figli non propri, le responsabilità nei confronti di questi bambini, sono enormi, direi doppie, rispetto a quelle dei genitori biologici.
Il ruolo dei genitori biologici, proprio perché li hanno messi al mondo, è sempre abbastanza chiaro, ed è strettamente legato all’amore, l’amore dei nuovi compagni dei genitori è, invece, un amore faticoso e faticato, e va curato ed accudito nel tempo.
(In realtà, io penso che ogni tipo di amore andrebbe manifestato e accudito a prescindere dal ruolo. Ma questo è un mio pensiero).
Questi uomini (o donne) diventano compagni delle loro donne e dei loro bambini.
Fare un patto con un bambino è molto di più che essere il compagno, più o meno a termine, della sua mamma.
Un bambino ci crede veramente, non si lega alle sfumature linguistiche, e crede che un amore sia per sempre.
Soprattutto l’amore verso di lui.
Quest’uomo – parlo di uomo ma potrei anche invertire i ruoli e parlare di donne – ha l’onore di entrare a far parte della vita del bambino.
Potrà occuparsi dei suoi giochi e delle sue angosce, lenire le sue paure e raccontargli la fiaba prima di andare a dormire, accompagnarlo a scuola.
Potrà avere il privilegio di essere il suo confidente, di ascoltare le sue preoccupazioni, le sue difficoltà scolastiche o di integrazione, di vivere insieme a lui, o a lei, i suoi primi batticuore.
Ed essere il suo psicologo amatoriale.
Potrà sentirsi onorato di insegnargli a camminare, di fargli portare dal topino un regalo quando perderà il primo dentino, di guardarlo durante il primo giorno di scuola, quando spaventato con il suo enorme zaino sulle spalle guarderà la mamma e si indirizzerà verso l’ignoto.
Sarà un privilegiato ad aspettarlo fuori dalla sala operatoria quando la sua prima anestesia lo spaventerà da morire e lo accompagnerà in un altrove sconosciuto e minaccioso che soltanto le dolci parole e le dolci carezze di chi ama davvero lo rassereneranno e gli faranno vivere la paura come a termine.
Quindi, quando l’amore muore, quando gli adulti, senza patti, senza contratti e senza scrupoli, si separano, questo bambino proverà sulla sua pelle, per la seconda volta, la straziante sensazione dell’abbandono.
Non è stato amato la prima volta, e non è stato amato la seconda.
A questo punto inizierà a chiedersi cosa c’è in lui che non va, e non cosa c’è che non va negli adulti che pensava fossero di riferimento nella sua vita.
La differenza tra un legame d’amore e un non legame non lo fa l’atto di nascita, ma la storia individuale che si ha la fortuna, o il coraggio, di tessere.
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4 Commenti. Nuovo commento
Ottimo articolo, oltretutto mi chiama in causa.
Se posso, propongo la mia storia.
Ho conosciuto la mia attuale moglie che aveva una figlia d
Buongiorno e grazie per essere intervenuto.
La Sua storia di vita è ben accetta, scriva quando desidera.
Un caro saluto
Come dicevo, il suo articolo mi chiama in causa, cercherò di esprimere sinteticamente una storia che dura da 30 anni.
Io avevo 33 anni, sposato, senza figli e lei 24 anni, sposata con una figlia.
Tralascio del nostro incontro che fece di noi una coppia, e vengo al primo punto da lei esposto.
Come possono qualificarsi nella società coloro che formano una coppia nata dalle ceneri di due matrimoni falliti?
Nel nostro caso si trattò di una scelta spontanea, che venne da sola:
ci presentavano come marito e moglie e la bambina, come nostra figlia.
Non ci furono discussioni, probabilmente qualche coltellata o malumore dietro le spalle, ma così doveva essere.
Un patto tra me e mia moglie, fu che essendo Vanessa mia figlia, io dovevo occuparmi di lei da genitore in tutti i sensi, sia che fosse da rimproverare, sia che fosse da lodare.
Volo’ pure qualche sculacciata quando la meritava.
A scuola dai professori mi presentavo come il padre di Vanessa, firmavo voti, comunicazioni, pagelle con il mio nome e cognome, senza mai venire ostacolato in alcun modo dal corpo docente.
Credo quindi di aver agito nella maniera giusta.
Al di là Delle leggi scritte dall’ uomo, si possono quindi generare Delle leggi del buonsenso, che se ritenute valide, vengono accettate.
Dopo Vanessa arrivarono altri due figli: Amedeo e Filiberto, anche per loro stesso trattamento.
Siamo riusciti a formare una famiglia di 5 persone, con tutte le gioie e le difficoltà che ciò comporta.
Un’ ultima cosa, mi piacerebbe farle avere privatamente, quando mi indicherà le modalità, copia di una lettera, indirizzata a me da mia figlia, 4 paginette di quaderno, che Vanessa mi fece trovare sotto il guanciale.
Qui mi fermo, perché penso di essere stato un po’ troppo prolisso.
La saluto anch’io alla maniera di Diego Fusaro.
Un caro saluto da Valter.
Buongiorno Valter,
grazie davvero per la Sua bellissima testimonianza che testimonia onestà mentale ed emozionale, coraggio ed impegno.
Quest’ultimo, ormai, il grande assente in amore.
Una “conquista” della modernità è quella di avere scorporato l’impegno dall’Amore, facendolo naufragare frettolosamente.
Il suo racconto traduce in fatti ed eventi quello che io tentavo di far passare con il mio breve scritto.
Può scrivere nella sessione contatti del mio sito, la Sua email arriverà direttamente al mio telefono.
Un caro saluto