Il fastidio è quella sensazione che ti serpeggia sotto pelle e che vuole parlare con te, mentre parla di te. Ti irrita e ti indispettisce. Ti richiama alla verità. Anche a quelle scomode, taciute o tacitate: quelle che non vuoi o non puoi ascoltare.
Il fastidio è una sorta di eritema diffuso che si trasforma in edema e prurito e che non passa finché non decidi di occupartene.
Si può provare fastidio per un’emozione che ti teletrasporta indietro nel tempo. Che ti scaraventa nelle terre dell’infanzia. Che ti fa incontrare o abbracciare ancora con la fantasia il fantasma del passato: quell’amore deceduto, quel lutto del cuore, quel tradimento che ancora duole, quell’amicizia che ti ha deluso, quel futuro che si ostina a rimanere presente.
Si può provare fastidio che diventa rabbia quando sei qua e vorresti essere lì. Quando vivi in una sorta di schizofrenica scissione tra il dovere e il piacere, tra il fare e l’essere, tra il capire e il sentire.
Anche il fastidio ha il suo linguaggio; per decodificarlo bisognerebbe imparare il suo alfabeto. Fatto di gesti muti, di silenzi e di parole.
Si può manifestare con i sintomi, con manifestazioni varie ed eventuali di rabbia, con una sorta di mutismo selettivo, con un eccesso di parole. Quante volte ci siamo sentiti irritati senza apparente motivo? e quante altre lo abbiamo dovuto ignorare o ingoiare, il fastidio, e far finta che fosse altro da noi? Ascoltarlo e averne cura lo trasforma da eritema a balsamo.
Tradurre il fastidio in una frase di senso compiuto significa avere rispetto e cura di sé stessi, della propria interiorità e necessità: del corpo e del cuore.
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