Quando una madre, o un padre, apre il cellulare del proprio figlio scopre un universo complesso. Chat erotiche e audaci. Foto da fare impallidire un attore del porno, provocatorie e dissacratorie. Talvolta, insulti e oscenità.
Un figlio che non pensavamo esistesse. Uno sconosciuto. Altro da noi. Un estraneo all’improvviso.
Quanto è difficile essere genitori, e su questo non ci sono dubbi.
Fare i genitori è il mestiere più difficile del mondo, e anche su questo non ci sono dubbi.
Ma nessun figlio ha chiesto di venire al mondo e, che ci piaccia o meno, la responsabilità della loro crescita é nostra.
Torino, una mamma denuncia il figlio e lo consegna alle autorità. Le indagini scoprono le chat degli orrori, e scattano gli arresti.
Mi chiedo: un figlio che trama contro lo stato, conto i genitori e le autorità, che insulta i gay, che vorrebbe uccidere gli ebrei e che osanna i fascisti e che ne loda le gesta, non avviene all’improvviso.
Non si tratta di un figlio che recita un copione comportamentale e personologico di bontà e gentilezza e che trama meschinerie e violenza dentro una chat, si tratterebbe di Antony Hopkins e bisognerebbe candidarlo all’oscar.
Un figlio che coltiva un sottobosco psichico di astio e frustrazione, che si allea con il branco per esistere, che riceve, invia e posta video dell’orrore, non avviene all’improvviso.
È un figlio che non è stato osservato adeguatamente, che ha lasciato tracce del suo disagio come le mollichine di Pollicino, che nessuno ha seguito e raccolto.
È giusto fare spionaggio informatico e frugare tra le chat del cellulare dei nostri figli?
Se noi genitori arriviamo a questo, significa che non conosciamo i nostri figli. Significa che un figlio in difficoltà preferisce allearsi con il branco e con il marcio della vita piuttosto che con noi.
È giusto conoscere il loro essere altro rispetto a noi, rispetto che quello che vogliono mostrarci di loro stessi? Non lo so.
Se, invece, osservarli alla giusta distanza, senza mai perderli d’occhio, fosse la strategia vincente? E se consegnarli alla giustizia fosse una scorciatoia per alleviare le nostre fatiche e i nostri limiti? Se le punizioni estreme diventassero il punto di non ritorno della rabbia, degli acting out, del loro frantumarsi senza possibilità di riparazione alcuna? E se invece diventassimo complici, conniventi del loro buco nero del cuore?
Non so darmi una risposta che possa abbracciare ogni figlio. Mi auguro che ogni genitore sia diverso da un altro, e che ogni figlio sia diverso da un altro figlio, da un compagno, da un genitore, talvolta, anche da sé stesso. O da quel sé stesso che in quel momento non andrebbe consegnato tra le braccia della legge ma tra quelle di un genitore, talvolta, accolto ancora in utero per metterlo al mondo ancora una volta.
Forse l’amore cura più della pena. Ma non ne sono assolutamente certa.
Una mamma.
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