Ho prestato la mia penna a Gemma (nome di fantasia), donna dal cuore e dal corpo confusi, che dopo vari pellegrinaggi affettivi ha scelto una pausa e sé stessa.
Lo avevo scelto come marito pur consapevole che non sarebbe stato amore e nemmeno un calesse. Era un compromesso. Era una brava persona e una persona brava. Portava fuori il cane e anche la spazzatura. Si occupava di me nonostante io mi occupassi di lui a intermittenza. Desiderava dei figli, esattamente come li desideravo io.
Ci piaceva l’idea del futuro e la cucina messicana. La sessualità era iniziata in maniera scintillante con note di peccaminosa curiosità reciproca, ma pian piano era diventata tiepida e noiosa, esattamente come il nostro rapporto di coppia.
Successivamente iniziammo a fare vite separata: lui usciva con gli amici, io uscivo con le amiche. Lui andava in vacanza da solo, io andavo in vacanza da sola. Lui andava a pranzo da sua madre, io dalla mia. Questa sorta di Siberia dei sentimenti e la totale mancanza di condivisione di istanti e di sogni ci portò, pian piano, alla separazione.
C’eravamo tanto amati, o perlomeno c’eravamo tanto voluti bene, e non avevamo intenzione di iniziare ad odiarci. Eravamo sin troppo intelligenti e onesti per fare finta di rimanere dentro un matrimonio deceduto. Scegliemmo un solo avvocato che ci seguì entrambi.
Andammo a cena insieme per l’ultima volta, e ci promettemmo affetto e sostegno reciproco.
La mia prima febbre e la mia prima ruota forata senza di lui non tardarono ad arrivare. Il mio ex marito che era diventato il mio migliore amico si precipitò con lo Zimox, la Tachipirina e la cena pronta. Il rapporto di mutuo soccorso continuò negli anni, l’uno era affettuosamente e fattivamente presente nella vita dell’altro.
Gli anni successivi furono determinanti. Lui si risposò con Adele e io con Anna (rispettivamente nomi di fantasia).
Faccio un passo indietro. Gli anni dopo la mia separazione furono anni di grande confusione del corpo, dei sensi e dei pensieri.
In preda a una sorta di raptus erotico e di fame di vita, decisi di riappropriarmi della mia femminilità e della mia sessualità.
Passavo da un letto all’altro e da una relazione all’altra, in maniera bulimica e compulsiva, quasi a voler dimostrare a me stessa di essere ancora viva.
Fino a quando conobbi Anna. Anna era per me un gioco erotico, così come lo era stato Aldo, Francesca, Giuliano, Federico.
Ma Anna era diversa. Era una donna omosessuale da sempre, ed era risolta.
Il suo amore diventò per me, nel più breve tempo possibile, un abbraccio, una carezza, una certezza. Un luogo nel quale rintanarmi e soprattutto fermarmi.
La vita sentimentale e sessuale di Anna era una vita piena, colorata e a tinte forti. Anna non conosceva mezze misure o vie di mezzo. Anna voleva me, amava me, voleva vivere con me e voleva dei figli da me.
Ci sposammo in nave, durante una bellissima vacanza che diventò per noi la nostra luna di miele. Iniziammo a vivere insieme nonostante i toni ostili dei genitori e di mia sorella.
Dopo un anno, Anna mi chiese dei figli, ma io non ero pronta per una maternità così acrobatica.
In realtà non ero pronta per una vita affettiva stabile e non ero neanche sicura di essere una donna omosessuale o bisessuale.
Ero una donna confusa.
Adesso sono in terapia, il regalo più bello che abbia mai potuto fare a me stessa. Sono in pausa da cuori e corpi, da vacanze acrobatiche e da cuori infranti. E soprattutto da scelte.
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