Diritto alla cellulite e al brufolo

Questa mattina, come tutte le mattine, leggevo La Stampa e sono stata letteralmente catturata da un bellissimo articolo di Elena Loewenthal.
L’autrice ha perfettamente tradotto e ordinato le mie sensazioni che non erano ancora diventare riflessioni, quindi, parole.
Pensieri alla rinfusa che mi regalavano una sorta di fastidio di fondo misto a disagio ogni qual volta tentavo di metterli a fuoco.
Pensieri che avevo sotto soglia e che non riuscivo a mettere in ordine.
L’autrice affronta il tema dell’esposizione mediatica, ma invece di parlare dell’ossessione del selfie perfetto, con tanto di filtri e modifiche da Photoshop, analizza le dinamiche che muovono le fila del selfie con acne o con cellulite.
La nuova tendenza prevede e promuove un bagno di realtà: rughe, imperfezioni, rotolini di ciccia e inguine poco o mal depilato, cellulite in bella mostra e, per concludere, guance acneiche, ad alto effetto mediatico.
L’ostentazione dei propri difetti, postati sempre per avere consensi e follower, non è poi così diverso dal suo “apparente” contraltare: il selfie perfetto.
Scrive l’autrice: “Il difetto esposto con soddisfatto accadimento e il ritocco sono due rovesci della stessa medaglia. In cui però manca il dritto, cioè una via mediana fra l’ostentazione dell’abbruttimento e la manipolazione della bellezza”.
Mi trovo assolutamente d’accordo con lei, e con un velo di rammarico e tristezza mi chiedo il perché.
Sembra che le donne debbano essere obese o magre, con la cellulite o scolpite, belle o brutte, acneiche o con la pelle da filtro di Instagram. La via di mezzo, la normalità, i contenuti invece della forma, o la forma con e non al posto dei contenuti, non sembrano essere assolutamente contemplati.
Una donna può essere intelligente e transitoriamente in sovrappeso, colta o un’artista creativa e con l’acne o le smagliature. Ma non vedo il motivo di dover postare le sue presunte e amplificate bruttezze invece della sua arte, delle sue parole o pagine, del suo tutto.
Non ne possiamo più di stereotipi di generi, di attacchi efferati per ogni pensiero, parola, spontaneità del cuore, selfie brutti o strepitosi.
C’è chi si ferma al brufolo, chi al pelo fuori posto, chi al buco di cellulite perché fa tanto normalità, e chi, quando si parla di scrittura, si ferma tristemente al titolo o a un avverbio brandendolo con l’orgoglio del politicamente corretto.
Nel mondo che vorrei mi piacerebbe rivendicare il diritto alla non ostentazione e ai contenuti dentro dei contenitori vari e variabili.

Fonte: La Stampa

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