Dentro questo corpo, gli adolescenti soprattutto, e soprattutto oggi, stanno male. Stanno male senza il fuori, con troppo dentro. Un dentro che in funzione dell’età urla per essere ascoltato, rassettato, canalizzato altrove. Sono invasi e angosciati da loro stessi. Sono stremati da chilometri di chat senza tirare fuori il naso da casa e dal cellulare, e quando possono farlo il naso rimane sempre lì, incollato allo schermo.
Alcuni di loro si tagliano. Si affettano perché non si accettano. Si autoledono perché stanno troppo male. Una strategia malsana ma antidolorifica che lenisce il dolore del cuore e del profondo per spostarlo al dolore del corpo: molto ma molto più sopportabile. Cosa possiamo fare noi adulti? Sintonizzarsi con la loro parte sofferente. Stare attenti. Osservare con discrezione ma autorevolezza il loro dolore, ascoltare con il cuore spalancato, tradurre i segnali di disagio in richiesta d’aiuto.
Dire loro che ci siamo e che tutto si può risolvere, perché è la verità. Dire loro che ci sono i medici, gli psicologi, la famiglia, gli amici, le parole buone e che curano, gli animali, che amano e basta.
Dietro ogni taglio c’è un grido di dolore; trasformare la ferita in feritoia, in quel varco invisibile che trasporta da un altrove nebuloso e doloroso a un qui e ora di grande intensità emotiva, e di vita.
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