Ieri chiacchieravo con una mia carissima amica e riflettevamo sull’assurdità di fare colazione in compagnia.
Lei riesce a tollerare esclusivamente il marito e i figli, io sono ancora più estrema. Per me la colazione è silenzio, buon cibo, i miei pensieri mattutini, le mie ruminazioni notturne e i miei animali, e niente più.
Al mattino non siamo pronti per concederci al mondo. Ci stiamo ancora stiracchiando mentalmente. I pensieri sono ovattati, camminano in punta di piedi come funamboli tra l’oscurità della notte e le prime luci del giorno. L’inconscio con le sue ombre e la sua attività onirica è ancora a tavola con noi: siamo ovattati, ingarbugliati, inebetiti.
Non siamo certi se i sogni che abbiamo fatto sono belli o no.
Se abbiamo voglia di ricordarli o di censurarli. Se vogliono dirci qualcosa o solo disturbarci.
Stiamo lentamente facendo l’inventario dei pensieri e delle sensazioni. Segue quello delle cose da fare e delle rogne del giorno appena iniziato. Abbiamo i nostri rituali, solitamente sempre uguali nel tempo, e questo ci fa star bene, ci rassicura, ci abbraccia prima di consegnarci al mondo.
La compagnia del caffè fumante e del buon cibo sono un ponte levatoio che ci conduce dolcemente da ieri all’oggi. Non ci va di parlare, scherzare, condividere. Dobbiamo occuparci di noi, del nostro mondo interno, quello esterno con i suoi abitanti può attendere.
Al mattino vogliamo stare da soli!
Quando ci concediamo a una colazione condivisa significa che apriamo le porte all’intimità e alla condivisione.
Ma non capita spesso, almeno a me.
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