Siamo stati chiusi in casa per un tempo infinito. Abbiamo rischiato di perdere il lavoro, i genitori, i nonni. Siamo passati dalla fase uno alla fase due, alla tre, al non si capisce!
Abbiamo duellato con le nostre paure e ansie. Abbiamo fatto incetta di mascherine e di alcool. Abbiamo visto studiare i nostri figli in casa, rigorosamente da soli davanti a un computer. Tra bonus e incentivi vari abbiamo ripreso parzialmente a vivere. Abbiamo incontrato gli amici, anche se non congiunti, mantenendo una certa distanza di sicurezza nonostante la voglia di stringerci ancora. Abbiamo fatto un tuffo al mare cercando di lavare via l’angoscia provata. Abbiamo imparato a starnutire dentro un gomito sentendoci scemi. Abbiamo imparato, più o meno goffamente, a salutarci senza stringerci la mano, sentendoci dei perfetti maleducati.
Adesso, in virtù del Dio denaro, riaprono le discoteche ed è subito caos. La voglia di vivere e di dimenticare l’accaduto si impossessa dei ragazzi, come è giusto che sia, ma si impossessa anche di chi li dovrebbe proteggere dal virus e da loro stessi.
Ieri a Catania, un ragazzo si è infettato e, immagino, avrà contagiato altri ragazzi suoi coetanei, compagni di serate sotto le stelle d’agosto.
Non è pensabile far passare un messaggio di tipo schizofrenogeno: ballate, ma distanziati. Andare in discoteca, ma sino alle due.
Un uso costate e prolungato di forme patologiche di linguaggio porta a forme patologiche di comportamento.
La colpa non è dei ragazzi ma degli adulti. Come sempre, del resto.
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