Una madre muore insieme al suo bambino. E muore per ben due volte.
Deve sopravvivere senza di lui, senza nessuno sconto di pena da parte della sua psiche.
È stata accusata di averlo lasciato volutamente dal balcone.
Le ipotesi dell’incidente e del disturbo psichico sembrano essere state escluse.
Il piccolo aveva tre mesi, ci troviamo a Catania, e la tragedia si consumava il 14 novembre.
Ieri la sentenza definita che sancisce la colpevolezza della giovane donna.
La donna, di anni ventisei, racconta di avere avuto la mente oscurata, di non riuscire a spiegare cosa sia successo, ma di una cosa è certa: non voleva uccidere il suo bambino perché lo amava.
Essere mamma, più che fare la mamma, non equivale a essere immuni da problematiche psichiche o ombre dell’anima.
Da solitudine, rabbia, inadeguatezza, sconforto.
I media hanno sdoganato immagini di madri disturbate e disturbanti, madri assassine, madri deliranti e vendicative.
Dalla mamma di Cogne alla mamma di Catania, la figura materna viene additata, colpevolizzata e messa al rogo, come Giovanna D’Arco.
Anche le mamme si ammalano e il male oscuro può colpire il cuore.
Il dopo parto è una montagna russa ormonale.
Talvolta è impossibile comprendere di essere a bordo, ancora di più scendere, a meno che qualcuno dall’altra parte – che si chiami coniuge, genitore o clinico – non stenda una mano per aiutare la povera acrobata a riappropriarsi dell’equilibrio psichico smarrito.
Le parole e le eventuali diagnosi non riusciranno a tirare fuori questa donna dal baratro nel quale è precipitata. Anche in italiano mancano le parole per dirlo.
Gli orfani sono i bambini che perdono i genitori, i vedovi un coniuge, ma non esiste nessun termine per definire una madre che perde il suo bambino.
In qualunque modo muoia, perché un parte di quella mamma muore insieme a lui.
Fonte: La Stampa
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