Ipotetica lettera fantasiosa che una delle mie pazienti scrive a sé stessa durante una fase di tortuosi bilanci.
Caro cuore mio,
non ti chiedo come stai perché in fondo lo so. Conosco i tuoi acciacchi, le tue crepe; la tua età anagrafica e la tua età dei battiti.
Conosco i battiti che hai perso per strada e quelli che hai recuperato. So bene quando batti più forte, quando un battito vale per due e quando cento non ne ricordano nemmeno uno. So bene quando decido di tacere e io mi chiedo che fine tu abbia fatto.
Conosco anche le tue ginocchia sbucciate, tutte le volte che sei caduto e che comunque ti sei rimesso in piedi, gli amori passati, quelli presenti, gli alibi e le paure, le delusioni passate e le delusioni presenti, e conosco bene il peso che porti.
Anche quando apparentemente smetti di battere, quando le tue aritmie mi fanno preoccupare, quando fai rumore o sin troppo silenzio, quando sei zoppo o ti nascondi, lo so che ci sei e aspetti di essere scaldato e rianimato.
Lo so che ti lamenti, che piangi, che gridi o che gridi in silenzio. Lo so che hai paura, che durante i momenti di cambiamento treni, ma devi essere forte, cuore mio.
A volte mi sento minacciata dal tuo battito, però sono certa che mi vuoi dire qualcosa che in realtà mi sfugge. Così, anche quando sei vivo e anche morto, ferito o moribondo, zoppicante o cammini veloce con passo spedito, so che devo ascoltarti e so che in un modo o nell’altro cambieremo pelle e torneremo a battere nuovamente entrambi.
Per questa sofferenza comunque ti ringrazio. Ti prometto che mi impegnerò a portarti a spasso in luoghi pieni di meraviglia. Ti farò conoscere la luce, il sole caldo e le marmellate che farò. E sono certa, cuore mio, che ci divertiremo tantissimo insieme con tanti battiti o con pochi battiti, ma intensi e veri.
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