Cara infelicità,
ti scrivo.
Parlo con te per parlare con me e non scordarmi di te. Sei diventata importante, oserei dire centrale nella mia vita. Mi sono abituata a te, ad averti addosso come una seconda pelle che scalpita per diventare prima.
Sembra quasi che senza di te io non viva, come si fa con gli amori tossici. Ci svegliamo insieme come chi si ama o si sopporta, proseguiamo nell’affrontare la giornata nella speranza che si concluda in fretta.
Perché sai, cara mia, vivere con te a fianco e addosso, non è facile e nemmeno indolore.
Ti avevo sottovalutata. E soprattutto pensavo che saresti andata via con un colpo di spugna o con il famigerato tempo che tutto sbiadisce.
E invece? Sei amorevolmente e stabilmente presente: un abbraccio che si è fatto morsa e non vuole più mollare la presa e la preda. Ma la colpa è mia non tua; nonostante ti avessi riconosciuta ti ho premesso di starmi accanto e, per finire, mi sono consegnata a te.
Le mie viscere sono corrose, il rapporto con il tempo e lo spazio è del tutto falsato. Il tempo si ferma in tua compagnia, per trasformarsi in una punizione piuttosto che essere un premio e un regalo della vita.
Gli spazi aperti mi disturbano, quelli angusti anche, così sembra che non ci sia un posto per me dove poter abitare. I cassetti dei ricordi sono più ordinati di quelli dei vestiti, che rappresentano il mio caos interiore e del cuore.
Il presente è una minaccia, il futuro chimerico, e il passato, si lui, è una malsana stampella che mi fa sopravvivere nel ricordo e nella malinconia di quello che non c’è più, ci sarebbe potuto essere o forse non c’è mai stato.
Mi sento un pendolo: come un metronomo oscillo tra passato e futuro, ignorando l’adesso.
Il cibo consola, ma non funziona a lungo ed elargisce abbondanti sensi di colpa. La notte è quel buco nero dove i mostri e gli incubi vengono a bussare alla porta del mio inconscio per ricordarmi che tu esisti e resisti.
Spingo il mio cuore disabile e stanco, deluso e affaticato che ogni tanto mi ricorda di esistere.
Mi sono sentita a lungo come una sgraziata casa a schiera, immobile e grigia come il cemento che l’ha creata. Ti sei nascosta nei miei sogni e sotto la mia pelle; ma non mi provocare, sai.
Arriverò alla fine di te, ne sono certa, e dopo non ci sarai più. Mai più.
Ma conserverò il ricordo di te, per evitare di farmi imbrogliare ancora una volta.
Sono certa che dopo di te e senza di te troverò una bocca dove amare meglio, di più, a lungo, magari ingarbugliata a un cuore grande.
La vita è adesso, cantava Baglioni. Quindi, cara amica mia, ti dico addio e vado a fare un tuffo al mare dove non si tocca e dove l’acqua è più blu, dove incontrerò il coraggio e me stessa senza di te.

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