Tormentone di quest’estate è la parola aperitivo, parola che mi fa una solenne antipatia.
Neologismo che viene ampliato, distorto ed iper investito da svariati significati emozionali e relazionali.
L’aperitivo è quel luogo simbolico di incontro dove tutti parlano con tutti, quindi, nessuno parla con nessuno.
Diventa anche: apericena, happy hour, mangia e bevi, aperi-fish, senza l’immancabile gluteen free.
L’aperitivo, da semplice appuntamento frugale e pre-cena, viene promosso a momento d’importanza centrale nella giornata di molti.
Così, grazie all’aperitivo, molte persone si incontrano, flirtano, si innamorano, rimangono più sole di prima.
Il termine aperitivo, in realtà, deriva dal latino “aperitivus”, un termine adoperato in medicina in quanto adatto ad agevolare le secrezioni gastriche, non a distruggerle del tutto, soprattutto perché associato a cibi poco salubri e, solitamente, di scadente qualità.
L’aperitivo non è una cena ma solo un preludio per stimolare l’appetito, quindi, il termine “apericena” – che odio ancor di più – non ha alcun significato.
In realtà, non esiste più il corteggiamento, il tempo dell’attesa e della cena, quindi l’aperitivo, tempo del tutto e subito, e tempo a termine, mi sembra rappresentare al meglio i nostri giorni.
Per me che sono totalmente astemia, che non amo la confusione, che sono tendenzialmente solitaria e preferisco la compagni degli animali – tranne rari incontri cognitivamente interessanti – boccio con orgoglio ogni aperitivo propostomi.
Così, dopo il bastone per i selfie al posto di un amorevole amico o amore che sceglie di immortalare un momento, anche l’aperitivo al posto della cena?
No, grazie.
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