Ogni tanto succede. Succede che tra quello che si prova e quello che diventa azione non ci sia uno spazio mentale sufficiente per evitare guai.
Cosi, può capitare che la rabbia diventi insulto. Quelle parole che si pensano ma non si dicono, o non si direbbero mai, o sarebbe meglio non dirle, diventano un fiume in piena. Oltrepassano la diga del buon senso e dell’inconscio, e diventano sciagura verbale.
Succede anche che l’’angoscia diventi isolamento.
Barriere sprangate sulle emozioni, saracinesche chiuse, il cielo in una stanza e tutto il mondo fuori. Bolle prossemiche e paure. Emozioni e fughe dalla realtà.
Succede anche che la rabbia, da brava figlia della paura, diventi violenza. Verbale e fisica.
Succede anche che la gelosia che attanaglia le viscere e il cuore diventi spionaggio informatico, notti insonni, pedinamenti, agiti.
La concretizzazione di una compromessa qualità di vita.
Succede anche che amiamo, e anche tanto, ma per paura l’amore diventi un addio. Una fuga. Un rimpianto.
Nel regno occulto degli agiti, detti acting out, nulla ha una logica e il dopo non è mai uguale al prima.
Le azioni difensive prendono il posto delle emozioni e della loro successiva verbalizzazione. Le emozioni, però, che ci piaccia o meno, che ci spaventino o meno, sono assolutamente indispensabili.
Per noi e per le persone che ci stanno accanto.
Tra le emozioni ci sono anche quelle che durano e che curano.
Le emozioni che curano sono le emozioni che ci trapassano, che rimangono dentro di noi a lungo, anche a posteriori, nel ricordo. Sono le emozioni che non agiamo, che non buttiamo via come se fossero nocive o letali, che custodiamo e che accarezziamo con la fantasia ogni qual volta ne abbiamo voglia o bisogno.
Sono le emozioni che ci avvolgono, che scaldano il cuore e che infiammano il corpo.
Le emozioni non subite, non agite.
Le emozioni fruite.
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