L’abitudine è un mostro potente. È il più atroce dei veleni, più esattamente un tarlo. Si insinua nelle nostre vite pian piano, sino a rendere l’insopportabile sopportabile. L’infelicità normalità. L’ordinario straordinario.
Ci addestra, anzi addomestica, con costanza e pazienza. Ci fa diventare obbedienti, sudditi. Sottomessi alla noia e alle peggiori nefandezze. Con gradualità diventiamo ciechi e sordi: non vediamo più, non sentiamo più, non ci scandalizziamo più. Ci abituiamo a tutto.
Ci abituiamo agli amori difficili, a quelli tossici, alla sofferenza, a tutto quello che a sangue freddo pensavamo non avremmo mai sopportato e nemmeno accettato.
Noi che ci credevano diversi e vivi.
Poi arriva lei, l’abitudine, e gradualmente e progressivamente ci inocula il suo veleno sino a stordirci del tutto.
Ma un bel giorno ecco che appare l’antidoto: il brivido. Il sorriso di uno sconosciuto o di un bambino, una risata, una passeggiata al mare, uno sguardo rivolto verso il cielo, un cane, un cavallo, ed ecco che tutto si squarcia. Il tuo mondo interno si scrolla di dosso quel torpore appiccicoso e malsano, quella melma paludosa che è l’abitudine. All’improvviso ti senti viva, sveglia, lucida. Riappare la voglia di vivere, il desiderio serpeggia sotto pelle e la speranza di non accontentarti più occupa tutti i tuoi pensieri.
Dal brivido in poi ti accorgi che ogni emozione provata ha la forza di squadernare tutto: la noia, i legami con pochi progetti di cuore e di sensi, e i lavori e i legami privi di sapore e di sogno.
Anche dalle prigioni senza sbarre si può evadere, basta riconoscerle come tale.
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