Una transessuale allatta al seno il figlio della sua compagna
Una paziente, con una terapia ormonale specifica, più esattamente una terapia femminilizzante, è riuscita ad allattare il figlio avuto dalla compagna ( notizia tratta dalla rivista Transgender Health). La paziente, di anni trenta, si è presentata al Center for Transgender Medicine and Surgery del Mount Sinai Hospital di New York affermando che la compagna non voleva allattare.
I medici hanno applicato alla trans il protocollo ormonale per la “lattazione indotta non puerperale”, che si usa per le donne per stimolare la produzione di latte. La terapia ormonale, unitamente alla stimolazione del seno con un tiralatte, ha fatto sì che dopo tre mesi la donna producesse latte a sufficienza per nutrire il bambino per i suoi primi sei mesi di vita.
Note cliniche e ricordi d’infanzia
Ricordo quando mia nonna, sopravvissuta alle guerre, mi raccontava che talvolta le donne non avevano tanto latte, e nemmeno tanto cibo. Così, per garantire un adeguato allattamento ai loro bambini, li cedevano ad altre madri, e altri seni.
Non si poteva fare altrimenti.
I bambini si chiamavano infatti, “fratelli di latte”, accomunati dallo stesso amorevole seno.
La maternità è un evento davvero molto complesso, un intersecarsi di aspetti biologici, psichici e relazionali. Tra coscienza e inconscio.
Lo spazio interno (dell’utero) segue lo spazio psichico della madre, e viceversa.
La donna durante la gravidanza cambia profondamente dal punto di vista ormonale, fisico e psichico.
Così, per diventare madre prima e poter allattare dopo, deve attraversare un profondo cammino psichico, una profonda ristrutturazione emozionale, cognitiva e psichica.
La maternità non è semplicemente il dare alla luce, o tenere in utero un bambino come se l’utero fosse un mero contenitore – come nei casi di utero in affitto, o dare al neonato un seno altrui come se fosse un semplice biberon, ma molto di più.
Un bambino abita la mente della madre prima del suo utero, in psicologia si chiama infatti, “bambino fantasmatico”. Un utero appartiene alla donna che lo contiene – utero e bambino -, e a sua volta “contiene” una vita, non a un’altra donna a noleggio.
Scindere l’ovocita dalla donna, dal suo utero e dal bambino che nascerà è un chiaro attentato alla futura serenità psichica del bambino, e a quell’indispensabile base sicura scaldata dalla continuità affettiva e relazionale.
Dalla gravidanza al parto
La magia continua, così durante gli ultimi mesi della gravidanza e con la nascita del bambino le madri sviluppano una sorta di sesto senso, quella che Winnicott ha chiamato “preoccupazione materna primaria”.
Questa condizione consente a ogni mamma di mettersi nei panni del suo bambino, di identificarsi con lui, di sentire quello che sente lui e di decodificare i suoi bisogni. La madre inizia così a “pensare e sentire per il figlio”.
Nasce così un’empatia profonda tra madre e figlio che consente alla madre di sperimentare una condivisione profonda con i bisogni del suo piccolo.
Bion, durante i suoi studi sulla madre, ha parlato di rêverie.
La rêverie è lo “stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli stimoli che provengono dall’oggetto amato, quello stato cioè capace di recepire le identificazioni proiettive del bambino”. Assolutamente indispensabile alla relazione madre-bambino, nient’affatto mistificabile in laboratorio.
Il seno e i suoi simbolismi: allattare non è semplicemente offrire del latte ma creare un legame
L’alimentazione non è mero nutrimento ma soddisfa bisogni profondi. L’allattamento lo è ancor di più: è un incontro di anime.
Il cibo – il latte e il seno in questo caso – rappresenta il primo rapporto che il bambino ha con il mondo, così l’allattamento diventa la terra dell’incontro.
Per Winnicott, l’allattamento al seno rappresenta la prima forma di comunicazione in grado di condizionare poi, le successive esperienze relazionali del bambino. Riporto un passaggio emblematico dei suoi scritti:
“Non lasciate che una persona prenda in braccio il vostro bambino, se capite che ciò non ha alcun significato per lei.
Il latte della madre non affluisce come una produzione a sé stante, ma è una risposta a uno stimolo e lo stimolo è la vista, l’odore e la sensazione del suo bambino e il suo pianto che segnala un bisogno.
La madre è la sola persona che può in modo appropriato presentare il mondo al bambino in una forma che abbia un senso per lui. Essa sa come farlo, non perché sia addestrata e abile, ma solo perché è la madre”.
Madre e figlio: un legame di anime
L’allattamento è un dialogo silente tra anime. Quella della madre che ha dato alla luce e quella del suo bambino. L’allattamento è un momento alchemico e magico, di profonda comunicazione non verbale tra la mamma e io suo bambino.
Un seno non è permutabile né sostituibile con un biberon o un altro seno scisso dalla madre che ha tenuto in utero il suo bambino, perché non è un semplice contenitore di latte, ma molto di più.
Non è il seno che nutre, ma la relazione madre bambino, tramite la magia dell’allattamento. Sono due cose totalmente differenti.
Quando una madre non può, o non desidera allattare, non va demonizzata o messa al rogo del pregiudizio, ma rispettata nella sua scelta.
L’allattamento è senza dubbio un momento dalla indiscussa importanza per le sue proprietà nutritive, di accudimento, di carezze per l’anima, scaldato dalla comunicazione non verbale e dall’incontro tra due inconsci, è da da preferire – ove possibile – a un biberon.
Ma è altrettanto vero che un biberon dato con amore e serenità in situazioni psichiche “complesse o compromesse” è, talvolta, da preferire ad un seno obbligato e obbligatorio.
Non è un seno che nutre – seno e utero sono organi simbolici, il primo non è un biberon ma un legame, il secondo non è un contenitore, ma contiene – ma una madre con la sua psiche e tutto quello che c’è dietro e dentro, che “nutre”.
Non serve passare la staffetta, se non se ne ha voglia o possibilità.