I sabotatori affettivi amano chi non li ama, e quando vengono ricambiati attaccano il legame e il partner sino alla distruzione più totale.
Si straziano d’amore senza che l’oggetto d’amore sia partecipe alla relazione e soggetto di così tanto sentimento.
I sabotatori affettivi amano chi non ricambia il loro amore. Si ammanettano a passioni totalizzanti e le vivono come se fossero dei pusher di emozioni: l’equivalente di massicce e quotidiane dosi di droga, della quale non vogliono e possono fare a meno.
La sindrome dell’ostaggio
Il rifiuto reiterato (e inconsciamente cercato e perpetuato) nel tempo non insegna loro come cambiare traiettoria e tentare di amare – ed essere amati, soprattutto – in maniera diversa. E gli addii seriali, subiti o facilitati, non diventano forieri di cambiamenti.
Chi insiste e persevera ad amare persone che non le vogliono hanno ricevuto in dote uno stile di attaccamento di tipo dipendente. Insomma, amano la sottomissione, il rifiuto, le maglie della dipendenza.
Per i sabotatori affettivi l’amore va meritato, e loro non lo meritano. Quando vengono ricambiati scatta in loro un bisogno impetuoso di trasformazione: diventano tremendamente distruttivi, nel tentativo di difendere il loro disagio psichico e rimanere nella sabbie mobili della solitudine.
Essere respinti o abbandonati è per loro una sensazione familiare: rievoca rifiuti emotivi precoci e d’infanzia; è come se si sentissero a casa ogni volta.
I sabotatori affettivi non imparano dagli sbagli amorosi e perseverano ad amare chi non ricambia, chi li manipola, chi li distrugge.
Queste esperienze così tanto dolorose sono mosse da quel meccanismo dannato che è la coazione a ripetere. Nonostante la ripetizione inconscia del comportamento, nel sabotatore c’è sempre la speranza di trovare, nella perseverazione, un finale diverso. Magari un lieto fine. Ma ovviamente questo non accade.
Il tormento che regala un (non) amore non corrisposto obbliga il malcapitato a pensare in maniera ossessiva a chi non ha voglia di ricambiare il pensiero, a immaginare cosa fa, cosa dice, cosa pensa, perché non risponde, perché non richiama, perché è intermittente o altrove.
I sabotatori affettivi che amano chi non li ama in realtà sabotano loro stessi. Rappresenta una strategia per tenere a bada le loro paure più profonde.
Il modus operandi amoroso distruttivo o evitante in realtà è un perfetto antidoto alla noia e all’amore. Il sabotatore affettivo evita, inoltre, di pendere coscienza di quello che non va in sé stesso, non analizza le sue criticità e zippie del cuore, la sua infanzia, le sue paure e mancanze. Agisce e basta, pensando di fare la cosa migliore per tutti.
I sabotatori affettivi senza vivere una distrazione così straziante avrebbero dovuto fare i conti con il vuoto, con l’irrisolto, con i traumi e gli abbandoni soprattutto dell’infanzia.
Fissazioni, ossessioni, gineprai mentali ed emozionali, deliri e nuclei paranoidei confondono la vita psichica e consegnano il sabotatore al caos indifferenziato.
Imparano a convivere con il dolore ma non si occupano del dolore. Non lo usano per cambiare e per attuare quel faticoso quanto indispensabile processo trasformativo, lo subiscono invano.
I Torchbearers: i portatori di una fiamma ardente
I torchbearers sono dei sabotatori affettivi. Sono persone attratte in modo ossessivo e disfunzionale da qualcuno che non è disponibile e che non ricambia.
Questa attrazione a volte non si manifesta in maniera eclatante, soffrono in silenzio, altre volte diventano persecutori: perseguitano la persona di cui sono (falsamente) innamorati sui social o nella vita, fino ad arrivare allo stalking e alle molestie.
Questo tipo di dipendenza affettiva si basa sull’illusione di non poter essere rifiutati e di poter salvare il malcapitato dalle sue stesse, presunte, paure.
I sabotatori affettivi, in realtà, soffrono di dipendenza affettiva e tendono a distruggere ogni relazione che intrattengono quando diventa troppo intima o vera. Questo può verificarsi dopo il primo appuntamento – scappano via a gambe levate e spariscono nel nulla lasciando il potenziale partner inebetito e attonito – dopo l’intensità della sessualità – la classica fuga in fase post organica – dopo avere ricevuto alcune richieste di maggiore impegno o di continuità del legame da parte del partner.
Le cause dei sabotaggi sono tante e, come sempre, sono da ricercarsi laggiù: nelle terre dell’infanzia. I fattori eziologici che portano allo sviluppo di organizzazioni patologiche di personalità sono sempre delle esperienze traumatiche infantili. Genitori non adeguati sul piano emotivo, precoci abbandoni. Divorzi dolorosi o destruenti, strazi non elaborati. Violenza subita o assistita. Abusi fisici o psichici. Madri o padri disorientati e disorientanti, ambivalenti e scostanti, con chiari problemi di regolazione affettiva.
Elena che non sapeva amare
Elena (nome di fantasia) era una donna che non sapeva amare. Che non riusciva a coniugare testa e cuore nelle sue relazioni.
Amava uomini sbagliati, ne trovava altri giusti al momento sbagliato e sbagliati al momento giusto, di fragilità della sua esistenza.
In realtà la sua esistenza era un continuum di fragilità e di inciampi affettivi.
La madre di Elena era una donna algida e in carriera. Aveva sempre trascurato la famiglia in funziona dei successi lavorativi.
Elena, sin da piccola, soffriva di disturbi del comportamento oro-alimentare. Alternava inappetenza cronica che diventava poi una conclamata bulimia ad abbuffate seriali e notturne che diventavano poi un quadro di bulimia nervosa.
Lo stesso modus operandi lo attuava in amore.
Era iperfagica: si nutriva di uomini, anche non belli, bravi o affidabili, pur di non sentire il vuoto. Ma così facendo il vuoto aumentava a dismisura.
Poi le relazioni naufragavano e iniziava a soffrire e a mangiare senza sosta.
Dopo meno di un mese ricominciava ad amare, e quando qualcuno era davvero interessato a lei, come ogni volta, sabotava il legame.
Faceva di tutto per diventare insopportabile, gelosa, distruttiva, controllante oppure scappava via senza dare nessuna spiegazione. E poi smetteva di mangiare per mesi.
I cinque elementi per essere felici amore
Non esistono delle ricette perfette per essere felici, ma dei prerequisiti essenziali a solitamente sì. Provo ad elencarne alcuni.
- Nella coppia, i bisogni personali come quelli fondamentali – bisogno di attaccamento, di autonomia, di identità sessuale e di autostima – devono essere, almeno in parte, risolti. In caso contrario si chiede al partner di soddisfarli. Il partner non è e non deve essere un genitore, uno psicologo, un factotum.
- La dipendenza dall’altro non deve essere confusa per amore. Spesso si tratta di fragilità pregresse non elaborate o risolte, di buchi d’infanzia, di traumi del passato. L’amore invita a un incontro tra due adulti più o meno risolti, in cammino, con uno sguardo vigile verso la loro interiorità. In ogni caso adulti.
- Non ostinarsi nel cercare la passione ad oltranza. Evitare la lettura quantitativa e miope dell’eros – tre rapporti a settimana, due, uno -, ma avere uno sguardo qualitativo al legame. La coppia che dura, quella longeva, non può essere sempre appassionata. Questo non significa che debba appendere al chiodo la passione, ma che sappia con strategica capacità d’ascolto seguire il corpo, le stagioni della vita e della coppia, le mareggiate, le fisiologiche e transitorie deflessioni dell’eros. La ricerca compulsiva del picco della passione non aiuta l’amore ma invita al tradimento cronico, all’insoddisfazione e all’infelicita .
- Bandita la diffidenza. L’amore vuole fiducia.
Nella coppia, la diffidenza è spesso nociva, perché chi è diffidente non può aprirsi a un’intimita condivisa, profonda, vera. La fiducia genera fiducia, ma non la di può improvvisare. Nasce durante i primi anni dell’infanzia, nella relazione con i genitori. Alcuni psicologi, in passato, hanno filmato un bambino di circa un anno nella sua cameretta, con i suoi giocattoli. Dai video si evince chiaramente che, quando nella stanza entra una persona sconosciuta, il bambino diventa ansioso e chiaramente intimorito; ma se la madre è presente, il piccolo continua a esplorare i suoi giocattoli. - Essere generosi.
È importante imparare a praticare la generosità, perché il cuore grande fa bene all’amore. Anche in questo caso la generosità si apprende in famiglia nel rapporto con i genitori, poi con i fratelli o le sorelle, e in seguito diventa un comportamento sociale, che abita anche le coppie longeve. Essere generosi è poi un comportamento che si estende alla vita sessuale. Ogni partner generosi e attento al piacere dell’altro e al benessere di coppia.
Come imparare ad amare?
Amare dovrebbe essere istintivo e naturale, ma abbiamo visto non essere così. Almeno non sempre.
Per amare ed essere amati bisogna senza ombra di dubbio amarsi. Avere quella dotazione di bordo chiamata amore genitoriale, imprinting affettivo primario, base sicura, dote amorevole fatta di cura e dedizione.
Chi è stato amato poco, male o in maniera intermittente o non è stato amato per niente farà di tutto per sabotare ogni possibile legame amoroso, perché in fondo è atterrito dalla totalità e profondità di un sentimento così intenso come l’amore.
I non amati non sono candidati a loro volta a non amare; ma la cura per il buio del cuore esiste e si chiama psicoterapia.
Dare spazio e ascolto a quel solco profondo di infelicità e trasformarlo in parole significa convertire il destino pericolante di un sabotatore affettivo in opportunità di crescita e di trasformazione. Perché una vita senza amore è come una pianta senza acqua.
Le storie o le persone sbagliate terminano di essere tali soltanto quando smettiamo noi di essere sbagliati, affamati o ammalati.
5 Commenti. Nuovo commento
Mi sento proprio come la sua descrizione, una dabotatrice seriale.
Mi commuovo leggendo quello che scrive sui sabotatori affettivi e sulle vittime di un non amore originario. E commuoversi vuol dire vche la ferita è ancora aperta. Eppure sono anni che ci lavoro. Ma non mi spiego davvero come sia possibile essere cosi consci del proprio meccanismo patologico eppure cosi incapaci di modificarlo. Quando e come dovrebbe arrivare la trasformazione per me? Me lo domando spesso…
Cara Francesca,
non saprei dirle. Non la conosco. Non so che infanzia ha avuto, cosa le è accaduto crescendo. Come ama, come viene amata, se viene amata. Che percorso sta facendo, soprattutto, e con chi. Se il clinico è esperto in dinamiche relazionali.
Avrei bisogno di sapere tanto di lei per azzardare una prognosi.
Un caro saluto
Purtroppo anche io soffro di questo problema e non ho il coraggio di farmi aiutare. Resterò sola? Non lo so, ma sicuramente collezioneró altre delusioni.
Il non avere il coraggio di farsi aiutare fa parte del processo di sabotaggio che lei mette in pratica.
Richieda almeno una prima consulenza specialistica, luogo all’interno del quale potrà fare chiarezza all’interno dei suoi meccanismi.
Se desidera essere seguito da me chiami pure, in alternativa cerchi un professionista valido nella sua zona
Un cordiale saluto