“Costa meno la terapia degli alimenti”. Con questa frase lapidaria e confidenziale si conclude una telefonata di lavoro tra un mio amico e me.
Quanto costa una seduta? Quanto dura un percorso? Può farmi un preventivo? Ma se pago prima più sedute risparmio? Ho trovato uno psicologo più economico. Ma in quanto tempo risolvo? E se mio marito, mia moglie, non volesse venire in terapia che faccio? Ma con le pillole non mi sbrigo prima? E se provo con un’altra significa che funziono? Vado con una escort?
Queste e altre domande simili inondano le email o le telefonate che dovrebbero precedere un percorso di terapia salva coppia e abitano il mio studio in sede di prima consulenza.
Angosce e paure versus dati di realtà
Il paziente giunge in terapia asserragliato dentro i suoi sintomi, esclusivamente e apparentemente sessuali. Ha girovagato per forum, clinici, gruppi di Facebook, in ogni dove, pur di non curarsi davvero. Brandisce frasi che millanta come diagnosi, prese un po’ qua un po’ la, come se fossero referti medici. Crede che io sia l’ultima spiaggia ma mentre lo crede non ci crede, e spesso attacca con le parole.
Scappa con l’inconscio desiderio di essere inseguito. Dal mio punto di vita rappresenta una fatica inenarrabile, e quando rimane diventa una vera conquista.
Accade poi qualcosa di irreparabile che lo obbliga a chiedere aiuto: il suo legame inizia a scricchiolare sotto i duri colpi del non risolto, così decide di richiedere una consulenza (vera, da un professionista vero). Luogo da cui partire per analizzare la disamina del disagio della coppia in terapia.
Quando nella coppia, da una prima lettura, il depositario del sintomo sessuale è l’uomo, un velo di omertà maschilistica fa latitare nel tempo la richiesta di aiuto.
Il deficit erettivo viene imputato banalmente a un periodo di stress. Seguono le sperimentazioni ansiogene fatte di prove ed errori: con l’autoerotismo funziona tutto bene, con altri talami paralleli anche, ma intanto con la donna che il paziente dichiara di amare l’erezione è intermittente, zoppicante, faticosa, stentata.
Passano i mesi e anche gli anni, la donna inizia a sentirsi minacciata dalla disfunzione sessuale, si sente invisibile, brutta, sfiorita, in crisi. Entra in competizione con l’autoerotismo del compagno, sviluppa una sorta di delirio di gelosia nei confronti delle altre donne, anche se queste non esistono.
Appaiono gli sgambetti, i dispetti, le liti senza fine e anche quando sembrano concluse ricominciano. Seguono i letti separati con la scusa di un bambino insonne o della partita davanti la televisione. Aumenta l’astio, il silenzio. Entrano in scena gli amanti. Il passaggio successivo è la richiesta di separazione.
Lo stesso copione, con qualche variazione sul tema, si ripete per l’eiaculazione precoce, con l’aggravante che l’uomo viene tacciato di essere un egoista, un narcisita, colui che pensa solo a sé stesso e al suo piacere sessuale. La donna rimane frustrata, insoddisfatta, irritata e irritabile, con una conseguenza chiamata anorgasmia.
Per quanto riguarda l’eiaculazione ritardata lo scenario amoroso cambia nella forma ma non nella sostanza. L’uomo, in una prima fase della sua sessualità, si sente un supereroe, un grande amatore, per comprendere nel tempo di vivere dentro le morse del controllo da cui non ne viene fuori senza terapia; con l’aggravante di non poter fecondare la donna che ama nel caso in cui desiderasse mettere al mondo un bambino. La donna si sente del tutto estromessa dalla dimensione del piacere del suo compagno. Si percepisce una spettatrice muta, inutile, da corollario, mentre lui, solo lui, detiene il comando del suo orgasmo. Questa situazione, prima o poi, porterà la coppia al tracollo dei loro già precari equilibri: la donna virerà verso un calo del desiderio sessuale certo e l’uomo sostituirà sempre di più l’autoerotismo con il piacere solitario, perché decisamente meno faticoso. Da lì a breve la coppia sprofonderà nella crisi più cupa.
Quando, invece, è la donna che porta il sintomo sessuale nella coppia – a volte la coppia si forma grazie a quel sintomo sessuale che ne trova un altro (sintomo e partner) compatibile -, come nel caso del vaginismo, la coppia dura più a lungo immobile e immutata nel tempo sino a quando il desiderio di un figlio romperà gli argini degli equilibri disfunzionali.
Federica, Luca, due bambini, due amanti e un tumore al seno
Federica porta Luca (nomi entrambi di fantasia) dall’avvocato. Gli fa recapitare quella famosa lettera proprio a casa loro, indirizzata a Luca. Luca vive questa lettera all’improvviso come un affronto, come una minaccia e reagisce alla comunicazione del legale in maniera violenta, più del solito, più di sempre.
Federica non lo stima più. Non lo ama più, non lo considera un buon padre e nemmeno un buon marito. Dice di provare ribrezzo per lui, per il suo odore, modo di fare, voce e postura. Non sopporta vederlo in casa, non sopporta vederlo magiare, sentire fare rumore quando si muove, russare quando dorme. Non lo vuole più in casa con sé.
Crede che continuare a stare con lui sia tempo sprecato, ha già due bambini con lui ed è quasi pentita di averli fatti. Hanno vissuto cinque anni da persone più o meno felici ma profondamente immature, e due anni di litigi senza esclusine di colpi.
La coppia è in crisi da tempo. Si sono insultati, malmenati, finanche derubati.
Lei ha rubato dei soldi a lui, li ha trasferiti in maniera propedeutica da un conto comune al suo prima di scrivergli del divorzio.
Lei lavora in banca e sa come funzionano queste cose. Lui è un medico e pensa soltanto a salvare vite, come dice spesso lei in maniera sprezzante quando parla del marito. I genitori di Luca, medici entrambi, la cui madre è una psichiatra, consigliano alla coppia una terapia di coppia.
Gli suggerisco di venire da me e di analizzare i motivi che non li hanno fatti diventare una coppia adulta pur essendo una famiglia, e di lavorarci su perché un percorso di terapia di coppia può aiutarli davvero, mentre duellare nello studio di un legale può soltanto esacerbare le loro ferite e consegnarli all’infelicità del cuore.
La coppia giunge in studio già molto provata dalle pregresse liti. Non si guardano, non ci sopportano, si insultano e si interrompono. Li vedo individualmente. Lui ha già un’amante, lei ne ha un altro. Mi vivono come un’intrusa e non come un’opportunità.
La crisi sembra irreparabile. Nonostante ciò, tentiamo in maniera veramente acrobatica una terapia di coppia. Dopo il primo mese Federica si ammala: scopre di avere un tumore al seno.
Luca mi chiede un colloquio individuale: mi comunica di avere lasciato la sua amante, che non ha occhi che per Federica e per i suoi bambini. Vuole aiutarla e vuole amarla ancora, forse più di prima e di sempre. Ma non sa come si fa, anche perché Federica non glielo permette. Vuole vivere il suo dolore da sola, senza di lui.
Luca non demorde, mi chiede un aiuto in termini psicologici affinché lui possa essere in grado di aiutare la moglie.
La terapia di coppia che non è mai iniziata diventa la terapia individuale di Luca.
Federica rimane ricoverata ad Aviano per mesi, e Luca mio paziente per due anni. Adesso Luca e Federica sono rimasti insieme. Federica è guarita dal suo ospite indesiderato.
Gli amanti sono stati spazzati via. La coppia, pur lavorando su un solo partner, ha imparato a dialogare in maniera costruttiva. Hanno imparato a non sminuirsi, svalutarsi, farsi del male. E sono rimasti famiglia e coppia allo stesso tempo.
Avvocato o terapeuta?
Molto spesso la coppia giunge in studio quando è sin troppo usurata dalla crisi in corso, quando gli amanti hanno già fatto capolino nelle loro rispettive vite e quando il dolore per quanto vissuto è decisamente maggiore della speranza di riparazione. Vivono la terapia come se fosse l’ultima spiaggia per la loro unione, in contrapposizione alla scelta del legale. Ci sono i figli piccoli da non addolorare, i figli adolescenti da non destabilizzare, i figli grandi da non preoccupare. Ci sono i genitori anziani da tutelare da un dolore così straziante. Le motivazioni che spingono i partner ad intraprendere una possibile terapia di coppia sono sempre altre rispetto a quelle che dovrebbero essere: essere felici in coppia. Stare bene entrambi, da soli e insieme, e non soltanto per il famigerato bene dei figli.
Scegliere di rimanere, di riparare, di ricostruire, di amare ancora, più di prima, meglio di prima. La coppia è talmente usurata dall’aver ignorato i segnali prodromici della crisi che giungono in studio soltanto per non andare da un legale.
Il costo psichico di un cammino introspettivo
Fermarsi e analizzarsi non è mai semplice e nemmeno indolore. È molto più facile duellare, sfidarsi senza esclusione di colpi, dare la colpa a lui, a lei, all’altra, all’altro, ai suoceri, alla fatica, ai debiti, alla pandemia, allo stress, a tutto tranne che a loro stessi. Aprire il cuore e la psiche e portarli in studio con la reale volontà di mettersi in cammino verso la disamina profonda e approfondita delle loro criticità è un cammino irto di difficoltà e di resistenze al cambiamento.
Le frasi che più frequentemente ho ascoltato durante alcune prime consulenze sono: “La terapia non serve a niente. Soldi buttati. Tempo perso. Le parole non curano. Mia moglie non cambierà mai. Mio marito è incorreggibile. Nessuno può cambiare. Le ferite non si rimarginano. I tradimenti non si perdonano e non si dimenticano. Molto meglio vivere da separati in casa, si risparmia in affitto e in legale”. E così via.
In realtà dietro e dentro ognuna di questa fase c’è rabbia, paura, sconforto, disincanto, provocazione, angoscia. Ogni cammino di introspezione ha un costo psichico enorme, spesso non sopportabile proprio perché già troppo provati dalla crisi e degli efferati litigi.
Il ruolo del clinico e la forza dell’ascolto
Decodificare il sotto testo delle parole aggressive e svalutanti, anche nei confronti del mio lavoro, spetta a me. Alcuni pazienti recepiscono le interpretazioni e rimangono, altri, invece, scappano via perché non c’è più spazio e nemmeno risorse psichiche per tentare di trasformare la crisi in risorsa.
Avere il coraggio e la forza di andare oltre il sintomo, decodificarlo e tradurlo in ascolto e dialogo apre la strada alla guarigione.
L’ascolto rimane la forma più grande d’amore. Sempre.
2 Commenti. Nuovo commento
cara dott.ssa Valeria,
l’ho consciuta oggi al seminario tenuto a Noto, Lei attira l’attenzione, per il lavoro che svolge è importante, ho preso il nome del sito valeriarandone.it, ho dato una lettura alle varie pagine, tutte interessanti come Lei, mi sono già iscritto alla newsletter, volevo solo dirle che ho riscontrato nelle varie pagine che ho letto qualche parola errata, a volte sono lasciate per capire chi come me se ne accorge, o puo’ essere una svista, congratulazioni!
Buonasera,
la ringrazio per l’interesse che mostra per la mia professione e per il mio sito.
Se ha navigato un po’ nel sito, si sarà reso conto che contiene davvero tanto materiale, quindi, è possibile che qualche refuso ci sia.
Grazie per le segnalazioni.
Un cordiale saluto